sabato 1 ottobre 2011
Ormai lo chiamo poemetto. E ora avanza a singhiozzi.
Certo, aver letto in pubblico e dato da leggere la prima parte che ho chiamato La solitudine di Schenk, è stato positivo, tutti i commenti, o quasi, sono stati positivi. L'osservazione più sorprendente è venuta da Silvio. Non l'ho capito, ha detto. Terribile. Avesse detto che non gli era piaciuto avrei retto meglio. Dire che 'La solitudine di Schenk', coi miei versi più 'prosastici' di sempre, non l'aveva capita non stava né in cielo né in terra. Insomma non ho capito l'insieme, l'atmosfera, il contesto. Sono rimasto in silenzio a riflettere. Vuoi vedere che quella breve introduzione che avevo in animo di premettere al poemetto è più necessaria di quanto pensassi? Gli ho chiarito quale fosse appunto il contesto, a cosa e a chi mi riferivo, la situazione. Proverò a rileggerla. Qualche giorno dopo, che lui se n'era andato da Esino e a Milano aveva ripreso in mano la cosa, mi ha richiamato e il giudizio questa volta era buono. Ma vattelapesca. Quando dai da leggere qualcosa di tuo non sai mai cosa puoi aspettarti. In ogni caso è vero che in tutte le precedenti situazioni alla lettura ho fatto precedere qualche notizia su quell'episodio della mia vita giovanile che i versi rammentavano, e forse ciò aveva spianato la via ad una accoglienza più immediata. Inoltre ho presentato quei versi come una prima parte. E lì per ora sono rimasto. Da ora in avanti su queste pagine vorrei aggiornare più o meno quotidianamente la situazione della composizione delle parti successive.
Ho recuperato qualche settimana fa a Esino il nome dell'australiano, quel ragazzo vivacissimo che ha contribuito, non ho mai capito con quanta intenzionalità, all'incidente in cui mi sono spaccato l'anulare della mano destra sotto la pressione di una sbarra di ferro. Ma non fu tutta colpa sua. Di Peter. L'enorme carrello portavivande lui lo spingeva da dietro io lo tiravo davanti. La bella idea, in preda evidentemente a una euforia ludica, fu quella di sollevare le gambe ad angolo retto contando sulla spinta continua di Peter, il quale invece ha mollato la presa. Il carrello si è sollevato da dietro e il davanti sotto il mio peso si è schiacciato al suolo, io ho lasciato le mani sotto la sbarra sulla quale mi ero sollevato. Fortunatamente il carrello si è piegato in parte su un lato e lo schiacciamento ha interessato il fondo schiena, con postumi che risento ancora oggi dopo cinquanta anni, e la mano destra, l'anulare in particolare che è scoppiato. Per il dolore sono svenuto e ho ripreso conoscenza su un tavolo della dining room con addosso la faccia premurosa di uno dei cuochi che mi confortava, quel cuoco era inglese ma non ne ricordo il nome. Take it easy, take it easy...
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