mercoledì 26 ottobre 2011

C'è da credergli a Rimbaud quando dice che lui ha inventato i colori delle vocali ( credo: a nera, e bianca, i rossa, u verde, o blu). Ma credo che abbia fatto qualcosa di più. Il suo deragliamento dei sensi ha aperto piste nel deserto. Anzi ha scoperto il deserto da popolare. Una di queste piste è appunto quella delle libere associazioni sulla quale si è inoltrato Freud non molto tempo dopo. In ogni caso la sinestesia acquista solo dopo Rimbaud una vera e propria cittadinanza in letteratura. Non è che sinestesie non ce ne fossero mai state. Qualsiasi grammatica di retorica comincia a rintracciarle già in Dante (il luogo 'd'ogni luce muto') poi in Ariosto ( il 'lamento amaro') ecc.  Ma è solo nel Novecento che,  i poeti soprattutto, ne fanno un uso consapevole e raffinato. A scuola non adoperavo in realtà la grammatica per illustrare la sinestesia, portavo esempi tratti dalle pubblicità televisive. I ragazzi poi si divertivano a cercarne. Del resto la multimedialità è per sua natura sinestetica anche se al cinema i sensi coinvolti sono solo la vista e l'udito. Ma è notizia recente delle intenzioni di diffondere odori e profumi durante la proiezione dei film! E Steve Jobs ha ormai destinato, prima di morire, anche il tatto all'uso dell' iPad. Insomma la sinestesia è ormai codificata, istituzionalizzata e tecnologizzata. E dunque ormai vecchietta, consumata. E' questo che sin dall'inizio mi aveva creato un po' di disagio, era il titolo del libro di Don DeLillo che mi aveva lasciato perplesso. Rumore bianco.
E però, in questo romanzo, cosa si addice meglio di una figura retorica vecchietta e moribonda per la descrizione di un percorso di vita destinato per natura alla morte e per artificio, il disastro ecologico, a una morte quasi sicuramente prematura?
La metafora, la sinestesia, come in questo caso, danno potenza all'espressione. Ma la caricano di suggestioni. Più di quanto già per se stessa non faccia la parola semplice e quindi allontanano vieppiù il lettore dal significato che intendevi darle. Tutto ciò mi è estraneo,  non è mai nelle mie  intenzioni creare suggestioni. Cerco sempre la parola diretta, giusta, quella, per dire. 
Anche se non hai nessuna garanzia che poi il lettore la intenda proprio nel senso che tu le volevi dare, perché ci mette sempre del suo. Ma tant'è. Non si può inseguire il lettore. Il problema è sempre quale sia il tuo gusto personale.
Il problema. Te lo sei formato accogliendo (solitamente nei primi anni della tua vita) nel timbro della tua voce suoni tristi, melanconici, mesti e desolati? La parola giusta che ti corrisponde fino in fondo, che segnala con esatta geometria i significati che le affidi, avrà quel suono lì. Il timbro della tua voce sei tu. Non puoi discostartene troppo, non puoi indugiare in esso con insistenza. Intorno a quel timbro la parola scelta sarà quella che gli sosta più vicina. Più sarà lontana grazie o a causa dei mezzi retorici e maggiore sarà l'aura letteraria che la circonderà, fatta di suggestioni e/o sentimentalità. Questione di gusti.

2 commenti:

  1. Molto interessante, soprattutto per via della spiegazione della sinestesia.
    Mi scusi però, l'ultima parte del suo discorso mi sembra un po' difficile, complicata, direi.
    Spero che non si offenda, il resto mi ha molto interessato

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  2. Non è chiara nemmeno a me! Però, però...

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