giovedì 19 dicembre 2019

Nino che agita arte e poesia in Corvetto



L'amico poeta Nino Iacovella agita arte e poesia in piazzale Corvetto. Gliene sono grato perché è il modo migliore per raggiungere un pubblico che non sia di addetti ai lavori. Si ascolta con piacere all'aria aperta. Anche oggi 19 dicembre, appuntamento alle 18,30, Nino mi ha invitato a partecipare. Ci sarò ma solo per un saluto non per leggere anch'io, i motivi (e altro) sono dichiarati nello scambio che io e Nino abbiamo avuto su Facebook questa mattina:

Paolo:

Ciao, saggio di musica di Naima nipotina più grande e poi cena con entrambi i nipotini! Vengo lo stesso per il piacere almeno di esserci, per fare un breve saluto ma preferisco non leggere.

Nino:

È sempre una gioia averti con noi in piazza, simbolo di battaglia sociale ma anche di storia privata, visto che il Corvetto appartiene alla tua storia sentimentale.

Paolo:

Battaglia sociale e storia privata, la dicotomia che abbiamo tentato di far saltare! Era in gioco una identità nuova. Continuiamo a provarci, sembrava a portata di mano in realtà vuole tempi biblici. Basta non morire, del resto chi l'ha detto che moriamo? Chiamo Orazio a testimone, non omnis moriar...

mercoledì 13 novembre 2019

Nel salotto letterario di Gabriella Galzio




Nel salotto letterario di Gabriella Galzio, nota poeta romana trapiantata nell'Oltrepo pavese, si respira un'aria decisamente milanese. Anzitutto perché si lavora. Quasi tre ore tra le sue acute presentazioni critiche, solitamente tre, di autori e autrici che nella serata vengono chiamati/e a leggere e commentare le proprie opere, i commenti successivi della dozzina di presenti alle opere lette e la finale estrazione di una carta da gioco che designa un/a autore/rice chiamato/a a leggere la volta successiva. Il tutto scandito da una clessidra dalla sabbia celeste (gestita con garbo ma con determinazione dalla padrona di casa) che aggiunge un pizzico di esoterismo ma che richiama tutti/e al rispetto dei tempi. A garantire infine la qualità milanese dell'incontro c'è la cena fredda, più o meno in piedi, cui ciascuno ha contribuito, che prolunga a piacere la serata. Tra i presenti, quelli più in età, hanno già provveduto autonomamente, nel pieno spirito della situazione, a governare la salute con l'assunzione della pillola serale o a sgranocchiare un tramezzino necessario per calmare la calata degli zuccheri e bevendo da un piccolo termos conservato nello zainetto. Solo in pochi abbandonano il campo, tra costoro il sottoscritto, qualcuno forse con qualche rimpianto. Perché, si sa, e questa forse è pratica universale non solo milanese, in quella situazione si consumano i commenti più franchi, si legano amicizie, si prospettano incontri e progetti. Insomma una serata intensa e ricca, non potrebbe essere altrimenti se si considera che Galzio organizza questi incontri partendo da un assunto impegnativo, quello di dare spazio a una poesia e a una letteratura che aggancino tensioni civili, politiche, etiche.
Questo spiega anche perché ha dato spazio anche ai miei versi, quelli cioè che appartengono all'ultima produzione e che hanno le loro premesse teoriche e pratiche nel blog diepicanuova.it fondato con Franco Romanò (qui). Ma Galzio ha fatto a dire il vero qualcosa in più, nel presentare il poemetto che poi ho letto (quello intitolato Di signoria e servitù... che appartiene alla raccolta Inverno a Colonia ancora inedita) ha fatto un excursus critico sulla mia produzione cercando di dare ragione a una certa evoluzione in senso 'epico'. La ringrazio anche qui. Riporto il testo del suo intervento che mi ha gentilmente spedito.


PAOLO RABISSI
Paolo Rabissi, questa sera, vorrei prenderlo per la coda, ossia vorrei partire dai suoi inediti, anche perché è dalla coda che l’ho acciuffato alla libreria esoterica quando gli ho sentito leggere alcuni testi tratti da “Inverno a Colonia”, e mi sono parsi diversi dalla sua precedente produzione, destando in me una certa curiosità. La curiosità nasceva dall’ascolto di una sorta di ampiezza degli orizzonti del discorso poetico, da una tenuta etica del testo, certamente da un’inclinazione a testimoniare la storia della nostra civiltà. Motivo per cui l’ho coinvolto nei nostri incontri. La lettura ha poi confermato quanto percepito nell’ascolto. E per meglio comprendere questi ultimi testi, ho pensato di accostare un resoconto della discussione, promossa da Rabissi e Romanò, intorno all’idea di una “epica nuova”, perché negli inediti di Rabissi, vi si riscontrano parecchi tratti. Comunicabilità, oggettività, recupero di un forte senso della Storia. Come lui stesso mi ha detto, a un certo punto si è data la “stura” di una poesia narrativa ed evocativa - e aggiungo – che rinvia ora al tempo presente ora al tempo passato, dal verso lungo e disteso, totalmente libero e irregolare. Una poesia che si sottrae all’oscurità dei significanti e ai crucci individuali esistenziali e identitari. Mancano dunque eroi e guerrieri dell’epica tradizionale – più semplici Tonino e Angelo attraversano una storia di zappa e semina, sulla scia di quella ragazza Carla inaugurata da Pagliarani (non a caso compreso anche lui tra gli autori considerati di epica nuova). E non si tratta nemmeno degli antieroi, o delle antifavole o del non senso, che pure attraversavano la neoavanguardia romana del laboratorio di Pagliarani (di cui sono stata io stessa testimone). Perché qui il senso c’è ed è serio. Sono i soggetti sociali e politici forti ad essere al centro dell’attenzione, in quanto portatori di forme nuove di vita, cultura e identità. Nel senso più profondo, l’epica nuova di cui sono espressione i testi di Rabissi, si muove entro un orizzonte di ricerca positiva, non inconsapevole del conflitto, ma sottratta al sentimento di impotenza. “Chi non spera l’insperabile, non potrà mai scoprirlo”, recitano i versi di Eraclito in epigrafe a “La solitudine di Schenk” anch’esso parte del poema “Inverno a Colonia”.

Se tutto questo è il precipitato dell’ultima produzione poetica, vediamo ora come Rabissi ci arriva. Risaliamo dunque all’indietro. Con l’ultimo libro edito “I contorni delle cose” (del 2010), ci troviamo certamente di fronte a un libro di snodo: si colgono già nell’ultima sezione testi come “Lettera all’amico tornato in città” e “Il bello della miseria” che anticipano questa vis narrativa che distende versi dal lungo respiro in prosa con naturalezza ritmica, ricordando il miglior Sereni (compreso più tardi anche lui tra gli autori di epica nuova). Ma in questo libro è ancora in bilico la scelta del poeta che nell’omonima poesia, s’interroga: “Si sgraverà della moltitudine/ per centrare la lirica? O scorrerà leggero sulle varie umanità?” Il Rabissi della sezione “Diario sentimentale” di questo libro è ancora l’Autore di versi meno lunghi, di poesie limpide, dai finali talvolta epigrammatici, enigmatici, ma ancora brevi. Nella polifonia dei soggetti, si spartiscono la scena l’io, il tu, il noi, il voi e la terza persona per dire, per narrare, ma sono ancora vicende radicate nel quotidiano, anche se emerge, per es., tra i temi di epica nuova, lo scontro tra uomo e donna nel rapporto d’amore permeato dalla cultura patriarcale. “L’amore verrà/ e sarà quello che avrai cercato/ con occhi da combattimento”. Del resto, anche nella plaquette d’esordio “Città alta” (del 2001), quelle vicende del quotidiano, quell’”acqua di tutti i giorni” in cui era radicata la sua poesia, rimandava pur sempre, sia pure per assenza, a un’”acqua senza storia”, segno che la storia come dimensione poetica già innervava il suo quotidiano e che della sua poesia successiva sarebbe rimasto un caposaldo, dapprima come passato personale, poi come storia collettiva (seguendo una parabola che molto ricorda quella di Romanò, con cui forse non a caso ha dato vita alla riflessione su un’epica nuova). Inizialmente dunque una storia personale di emigrato (si direbbe al contrario, da nord a sud, dalla sua Trieste alle Puglie), nel suo caso per ragioni storico-geopolitiche a seguito delle revisioni di frontiera con la Jugoslavia. Una storia di sradicamento che consente un’altra “disadattata” focale d’osservazione, lo stile è limpido, e il tempo è il presente, fedele testimone dei fatti alla maniera di Neri. Il tono è sobrio, asciutto, colloquiale, già allora all’insegna della comunicabilità, talvolta con finali quasi plastici (come “Il barbiere [che] resta con le forbici per aria”); il verso è già sin dagli inizi irregolare e alterna versi più brevi e affondi in versi più lunghi che si distendono. Questo stesso background biografico irraggerà anche il suo successivo “La ruggine, il sale” (del 2004), anche se qui il focus della poesia apparirà intensificarsi sui tanti nodi dell’esistere, il tempo passato sembrerà prendere la mano al tempo presente, e una poesia in prosa alla Giampiero Neri sembrerà farsi più insistente.

In grande sintesi, Rabissi, mi è parso tra gli Autori più fortemente lombardi per i suoi riferimenti formativi (Pagliarani, Neri, Sereni) che però oggi si stacca da quel retroterra noto per avventurarsi in un territorio ignoto cui è stato dato il nome di “epica nuova”…quali i tratti di continuità, quali le fratture o le discontinuità, ce lo dirà nel tempo…



“Incontri tra Autori”, 14 maggio 2019                                     Gabriella Galzio    











giovedì 17 ottobre 2019

La prima raccolta di racconti brevi di Adriana Perrotta Rabissi: 'Sfocature'

I dieci racconti di Sfocature pubblicati ora su Overleft (www.overleft.it) compaiono con la nota critica di Franco Romanò della quale riporto le prime righe:

                                                                           

Sfocature, di Adriana Perrotta Rabissi, è una sequenza di rapide narrazioni, di cui alcune già pubblicate sulla rivista online a.VERARE. Il racconto breve e brevissimo gode di una tradizione, pur essendo un genere giovane e questa raccolta s’inserisce in esso con una spiccata originalità. Il titolo evoca immagini di rarefazione e ci immette in un universo di incertezze e inquietudini; anche i titoli dei singoli racconti, confermano questo imprinting iniziale con altrettanta coerenza. Alcuni sono una variazione sul tema (Distorsioni e Amnesia per esempio), altri decisamente spiazzanti come Tavola imbandita thailandese e Fogli di carne, altri ancora – all’apparenza del tutto normali come Metropolitana - nascondono nelle loro pieghe situazioni paradossali e disturbanti.

Qui riporto i primi tre racconti.

Distorsioni

Impegnata a sistemare nel bagagliaio dell’auto una scatola tra valigie, sacche e borse, non si accorge dell’uomo fermo dietro di sé, immobile tranne che per il pomo d’Adamo che sale e scende in modo rapido. Si volta con un breve sorriso accompagnato da uno sguardo interrogativo, l’uomo si riscuote e passa oltre, senza parlare, come preso da urgenza. Tra una divagazione della mente e l’altra ripensa a quando ha rischiato di esporsi a sguardi indiscreti per quell’azzardo sporadico, oscillante tra spavalderia e ritegno, di girare in minigonna senza slip. Ma forse l’ha immaginato, o l’ha sognato.

Al lavoro non ama distrazioni che non siano l’abbandono al fiume sotterraneo di pensieri-emozioni nel quale immergersi e nuotare, ogni tanto. Si racconta storie delle quali è protagonista, sorride o rabbrividisce durante la narrazione. Nessun disturbo o interruzione. D’all'esterno, osservando attraverso il vetro opalescente dell’ufficio, sembra si stia svolgendo qualcosa che non può essere interrotto. Quando riemerge constata con soddisfazione di aver ha ampliato per qualche tempo l’arco di vita.

Desidera con forza essere apprezzata, un po’ temuta anche, a volte si chiede quanto influisca sull’ammirazione che ricerca con meticolosità, l’aspetto fisico, o l’intelligenza esibita senza arroganza, la cortesia dimostrata nelle relazioni anche occasionali, la competenza nel suo lavoro

Non sa se preferisce gli uomini o le donne.

Nuota nell’acqua trasparente e calda, quasi immobile, sul fondo un giardino con fiori dal colore acceso; peccato per quel portone di vecchio legno, poggiato sul mare, largo quanto l’orizzonte, che impedisce il passaggio. Sa che dall'altra parte ci sono persone che vorrebbe raggiungere, soprattutto una, di cui sente la voce, ma non trova un varco. Teme che il mare aperto sia mosso, e indugia al di qua del portone. Al risveglio si rammarica

 ***

Desideri

La mattina si presenta fredda ma limpida; finalmente un giorno in armonia con l’immagine interiore della stagione, allora è tutto in ordine, la giornata scorrerà tranquilla. Da quando ha smesso di lavorare si alza serena, può indugiare nel ricordo dei sogni appena fatti, le sensazioni sono le stesse di quando era bambina, ma ora non può evitare di interrogarsi non sul significato, ha imparato che un sogno vuol dire qualcosa e il suo contrario, ma sullo stato d’animo che l’ha determinato. Solamente rimpiange la perdita della magia di allora.

 Nel parcheggio del Porto Antico c’è posto, l’incontro con Mirko la turba un poco; perché poi vedersi in un luogo così denso di ricordi da mettere a rischio l’autocontrollo, che pena sarebbe essere tradita dall’emozione. Si rimprovera la sua solita resistenza a rifiutare inviti rivolti con gentilezza; l’abbandono alla tenerezza di un momento le impedisce di assecondare il proprio desiderio, come se fossero soltanto i gesti arroganti quelli in grado di suscitarle per reazione l’amor di sé.

“Sono qui da un po’, temevo non venissi più. Camminiamo verso il molo?”

“Allora, che cosa c’è? Perché siamo qui?”

“E’ una banalità dire che sei cambiata poco in trent’anni?”

“Abbastanza, ma mi sta bene lo stesso il complimento”

Il fastidio per i modi e le parole scontate non cancella del tutto il senso di leggera euforia che la invade, chissà se anche a ottant’anni sarà sensibile agli effimeri apprezzamenti dei quali, forse, sarà ancora fatta oggetto. Non si è ancora liberata delle insicurezze adolescenziali.

E’ in piedi su una roccia protesa nel mare, le onde si fanno più agitate a vista d’occhio, questa volta decide di scendere nell’acqua, che si rivela azzurra e calma, il mare è chiuso, senso di appagamento, eppure, un momento prima, dalla finestra della sua casa di bambina aveva guardato con timore, misto a desiderio, il mare aperto, pulsante di un moto crescente.

E’ stato piacevole ritrovarsi con un vecchio amore per una conferma, non cercata, di quanto fosse conclusa la relazione già al suo inizio. E’ stata bene, ha mangiato con appetito, chiacchierato del più e del meno, compensando, a distanza di anni, le ansie e angosce provate al tempo del suo innamoramento.

Prova curiosità per la riunione in una vecchia libreria nel cuore della città. Le ha telefonato un’amica: “ Ci rivediamo, un po’ di vecchie e un po’ di giovani che vorrebbero conoscerci. Hanno letto qualche libro, ma non hanno capito molto, non c’è niente in giro in grado di trasmettere davvero quello che è successo trent’anni fa. Quando vengono in libreria parliamo un po’, mi hanno quasi costretto a vederci, non ho saputo dire di no, si tratta di un paio d’ore. Vieni anche tu.” Perché no, le piace sempre incontrare persone; quando lavorava si trattava di incontri obbligati, ora le sembra un lusso scegliersi le situazioni, anche quando si rivelano poco interessanti.

Si è rammaricata per anni di non avere avuto figli, prima era troppo occupata con il lavoro, l’amore, i viaggi, poi, quando ha deciso di fermarsi e provare non sono venuti. Chissà come sarebbe andata se avesse fatto coppia stabile con una donna, avrebbero deciso e ottenuto di avere figli? Si sarebbero trovate insopportabili l’una con l’altra, salvo aiutarsi –dovere o piacere- in caso di reciproco bisogno? Oppure avrebbero condiviso serenamente le loro condizioni di bambine-ragazze –giovani donne e donne adulte, scambiandosi pensieri, esperienze e amore?

Il vano sul retro della libreria, metà magazzino e metà soggiorno con una ventina di seggiole in legno, è confortevole, una decina di donne lo occupa, non si è perduta l’abitudine di portare qualcosa, una scatola di biscotti, salatini, acqua minerale, c’è anche una bottiglia di bianco, secco. Saluti, presentazioni, l’inevitabile imbarazzo del prendere la parola. La più disinvolta, laureata in ingegneria meccanica, lavora in una multinazionale di progettazione di impianti idraulici per usi industriali, rompe il ghiaccio. Fino ai vent’anni non si è interessata ai discorsi delle donne sulle donne, al liceo ha vissuto in classe una situazione di eccellenza femminile. Apprezzata da insegnanti e studenti, ammirata e corteggiata, a volte è corsa in aiuto di ragazzi timidi e miti, maltrattati da coetanee in mille modi. All’università è stata sempre tra le migliori, ha studiato senza eccessivi tormenti e patimenti. Ha confortato amici inconsolabili, piantati all’improvviso dalle rispettive fidanzate, molto più numerosi gli abbandonati che non le abbandonate. E’ proprio una donna nuova, emancipata, lontana, per quanto le è possibile, dal lavoro di cura, autostima senza superbia, rapporti franchi con uomini e donne, individua con precisione e rapidità il proprio desiderio riguardo a persone, oggetti, situazioni. Mentre lei, pur con il pallino dell’emancipazione in testa fin piccola, ha scelto una professione che è pur sempre un’estensione del lavoro di cura.

Un misto di ammirazione e di angoscia la invade, se non si fosse lasciata andare a una sorta di automoderazione, se si fosse ascoltata con maggiore attenzione, chissà quale sarebbe stata la sua vita. A dieci anni, quando aveva conosciuto a scuola la chimica, aveva deciso che avrebbe studiato chimica industriale, per andare a dirigere un'azienda nel deserto. Questo ha sostenuto per tutte le medie e il liceo. Al momento di iscriversi all’Università si è iscritta a Lettere.

Si sente rincorrere mentre si avvia verso casa: “Non ho avuto modo di dirlo prima, parlavamo tutte insieme, volevo dire che vi ammiro molto, voi di una certa età, avete vissuto in momenti più difficili di noi, minori libertà di costumi e maggiori difficoltà ad affermarvi nel lavoro. Eppure siete state così brave a riconoscere i vostri desideri, che siete riuscite a ottenere quello che volevate. Vi invidio anche un po’, io ho buon lavoro e soddisfazioni nella vita, ma volte mi sembra di lasciarmi un po’ troppo trasportare dalla corrente, dal momento, dalle aspettative degli altri. Temo proprio di non avere la vostra forza di volontà e determinazione”.

 ***

Tavola imbandita thailandese

La focacceria  è piena di clienti,  le commesse  ora  con  una battuta in dialetto ora con  un’osservazione sul tempo, contengono  l’inquietudine che comincia a serpeggiare tra i clienti in attesa  per  lo scorrere dei minuti. Le forme di pane croccante sulle mensole infarinate, le teglie di focaccia oleosa e profumata di salvia e cipolle rallegrano occhi, solleticano nasi e smuovono salive; è l’ultima fermata questa, tutto il necessario per la cena è stato comprato, non è ancora mezzogiorno e fino alle  otto di sera ci sarà il tempo per prepararla con calma.

Il vento, all’uscita del forno, l’investe di un profumo di mare selvaggio, non ancora addomesticato  dai languori  fruttati  e appiccicosi degli oli e delle creme solari. Nel tratto verso casa, ripassato l’ordine delle portate, comincia a pensare a come apparecchiare. Negli ultimi tempi è frequente il desiderio di stupire amiche e amici imbandendo la tavola secondo stili tradizionali di cucine orientali, ci starebbe bene lo stile cinese questa sera, che però richiederebbe cibi difficili da preparare per adattarli al vasellame; vada allora per lo  stile thailandese; le scodelle con i piatti rettangolari, le tovagliette in bambù, le mini-salsiere  smaltate a colori vivaci. Le due composizioni di fiori al centro del tavolo diffonderanno buonumore, unica eccezione l’assenza dell’altarino a Buddha, questo proprio non lo prevede. Contaminerà la scena con gli amati centrini di pizzo, regalo della nonna centenaria.

Abbandona malvolentieri i caruggi per tornare a casa, gli alti edifici che sembrano congiungersi verso il cielo assicurano protezione  mista a quel senso di trasalimento consueto ogni volta che svolta  un angolo, nell’attesa–timore di incontrare l’imprevisto. Sensazione analoga a quella provata nel ricorrente sogno di discesa in una cantina buia, dal pavimento sconnesso, dai muri sgretolati, resa affascinante dai percorsi  labirintici che conducono  all’incontro con il mostro da combattere, ogni volta presentito e mai incontrato.

Mentre dispone i piatti in lavastoviglie riflette sulla propria fragilità emotiva,  responsabile dell’agitazione mantenuta tutto il giorno. Dono recente della raggiunta maturità, che si traduce in  ansia da prestazione, in questo caso appena mitigata dalla consapevolezza della  consolidata esperienza culinaria. Neppure un’eventuale mancanza di tempo giustificherebbe l’insicurezza che ormai l’accompagna sempre più frequentemente. Da quando ha lasciato il lavoro il tempo non è più un problema oggettivo.

Un improvviso scarto, un soprassalto, un odore pungente di gasolio, il motore sputacchia e si spegne, meno male che è in vista della terra dopo tanti giorni di permanenza in alto mare, ci sarà forse da pulire il carburatore. Ancora.

martedì 15 ottobre 2019

Solidarietà con il Rojava

Appello internazionale di solidarietà con il Rojava

(Carta internacional de solidaridad con el Rojava)
Afronte del ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria, stabilito dal presidente Donald Trump e dal suo omologo turco Recep Tayyip Erdoğan, e di fronte all’invasione militare contro i popoli liberi del Rojava che questo accordo permette, consideriamo necessario e improrogabile dichiarare quanto segue:
1. La Comune del Rojava rappresenta in Medio Oriente il primo progetto politico anticapitalista basato sul Confederalismo Democratico, che promuove una visione alternativa dell’organizzazione della vita, fondata sull’autonomia non statale, sull’autodeterminazione, sulla democrazia diretta e sulla lotta al patriarcato. L’autonomia del Rojava è l’utopia di un mondo possibile, dove l’interculturalità, una differente e virtuosa relazione tra generi e il rispetto della madre terra vengono costruiti giorno dopo giorno. Il Rojava è la dimostrazione che non dobbiamo rassegnarci alla barbarie del presente.
2Il primo risultato della lotta per l’autonomia del Rojava è stato il contenimento dello stato islamico e del suo fondamentalismo. Adesso, questo accordo debilita gli sforzi delle milizie curde, attentando contro i rilevanti risultati che i reparti delle YPG e YPJ hanno ottenuto fino ad ora contro lo stato islamico in Siria. Le milizie curde saranno infatti costrette a spostarsi, per proteggere il confine nord del Rojava dall’invasione turca.
3. La guerra contro l’autonomia del Rojava, costruito sulle macerie dello stato siriano, continua sistematicamente da anni: attacchi e invasioni territoriali sono stati la normalità. Con il ritiro delle forze militari statunitensi dal confine turco siriano, la pericolosità della minaccia sale di livello, l’ostilità dello stato turco contro chi lotta per un mondo democratico, si trasforma nella possibilità concreta di uno sterminio etnico.
Per questi motivi, noi firmatari di questa carta – accademici, studenti, attivisti, organizzazioni sociali, collettivi, popoli organizzati e in resistenza – manifestiamo la nostra solidarietà con la lotta dei curdi e dei popoli della Siria del Nord, e gridiamo la nostra rabbia contro questa ennesima aggressione capitalista e patriarcale dello stato turco, che avviene nell’assordante e complice silenzio dell’Unione europea e degli organismi internazionali, e dimostra come i Diritti umani vengano tutelati solo quando obbediscono alle leggi del mercato.
Difendere il Rojava significa difendere chi resiste ogni giorno, in medio oriente e in ogni parte del mondo, contro la barbarie che avanza. Questa carta è un grido di rabbia, indignazione e solidarietà con i nostri fratelli e sorelle curde, che lottano e muoiono in nome della libertà e della democrazia.
Que viva la vida! Que muera la muerte!
Il Rojava non è solo!
___________________
Primi firmatari:
John Holloway (Messico); Sergio Tischler (Messico); Jerome Baschet (Francia); Noam Chomsky (Usa); Sylvia Marcos (Messico); Jean Robert (Messico); David Harvey (Usa); Arjun Appadurai (Usa); Etienne Balibar (Francia); Teodor Shanin (Gran Bretagna); Barbara Duden (Germania); Michael Hardt (Usa); Marina Sitrin (Argentina); Carole Pateman (Usa); Donna Haraway (Usa); Raquel Gutierrez (Messico); Boaventura de Sousa Santos (Portogallo); Federica Giardini (Italia); Dora Maria Hernandez Holguin (Colombia); Francesca Gargallo (Messico); Massimo de Angelis (Gran Bretagna); Wu Ming (Italia); Toni Negri (Italia); Catalina Toro Perez (Colombia); David Graeber (Gran Bretagna), Raul Zibechi (Uruguay), Gustavo Esteva (Messico), Aldo Zanchetta (Italia), Mimmo Lucano (Italia).
Per nuove adesioni: rojava.ekairos@gmail.com

venerdì 6 settembre 2019

Oggi quattro di settembre



Dici che cambia l'aria? Nessuno pretende di tornare in breve a respirare

con entrambe le narici e magari a bocca aperta. Oddio più o meno i dottori sono

quelli e agitano come al solito le loro bacchette magiche come non sapessimo

che il fall out delle ceneri amazzoniche sulle nostre teste (che becca anche qui

responsabili di quei fuochi) non si deposita solo sulle nostre macchinette

per strada. Però, però... sarà questa piccola aria quasi risorgimentale, dopo aver

temuto per la puzza mefitica che sembrava dover gravarci quasi definitivamente

su bronchi e polmoni, sospesa intorno a quei dottori, a farmi mettere

la testa per strada, per chiamarli in aiuto a disinfestare la casa da tutti gli scarafaggi

che sono saliti dal bidè e che avevano già raggiunto i barattoli in cucina.

venerdì 16 agosto 2019

Viene da fare le valigie.




Versi dell'agosto '19. Oggi marzo '23, come prima. Ma senza maestrale.

Viene da fare le valigie. Lontano
dall'estate torrida, osceno
anche il mare per via del libeccio
vento sporco che accumula rifiuti.
Eppure l'osceno non è lì.
Andare a Tucson può salvare?
In fondo al Southwest la scenografia
è anche peggiore ma il caldo
è secco e si respira e la luce
fa ombre perfette.
Qui l'umido, acqua sospesa che sale
di costa fin dentro i palazzi,
confonde la vista, favorisce omissioni
di soccorso anche sul mare, induce
a trascurare la pulizia, a lasciare liberi
tutti gli scarafaggi che hanno invaso
la vasca da bagno e persino i barattoli
in cucina.
L'osceno insomma è qui.
Oggi quattordici di agosto sul tardi
il vento è girato. Soffia il maestrale.
Rinfresca l'aria, agita e rimescola correnti.
Invita a fare pulizia. Il mare di suo
ci prova a sgrossare i rifiuti.

lunedì 12 agosto 2019

Giorgio Caproni, Saggia apostrofe a tutti i caccianti


Saggia apostrofe a tutti i caccianti


Fermi! Tanto
non farete mai centro.
La Bestia che cercate voi,
voi ci siete dentro


(da Il conte di Kevenhüller, Milano, Garzanti, 1986)

martedì 30 luglio 2019

Migrano, sono neri, sono nere e vogliono anche acqua da bere



Le manifestazioni di razzismo
- migrano, sono neri, sono nere e vogliono anche acqua da bere -
si moltiplicano intorno a noi
richiamano la lotta di classe.
Piccola borghesia negli anni venti succhiava
cannucce e votò i fasci, tal quale risorge oggi
finisce il pasto col dessert bombato di azoto
e antibiotici e vota la stessa roba.
Lasciamo perdere.
La Storia non si ripete tal quale non ci sarà
un partito che riscatti la generosa gente,
la generosa gente ora farà parte a sé
comincia daccapo a interrogare acqua terra e fuoco
mette insieme un falò intorno al quale recita
litanie di spurgo.

mercoledì 3 aprile 2019

Campus di Tucson



basta una foto per dire l’ora
(cos’hai capito? è l’ora dei denti
non propriamente digrignati distesi
a supplire, a governare
come se a mordere il tessuto di aria
non natia occorresse l’esposizione
fragile delle gengive,
non dovesse bastare soccorre
il ritmo della corsa utile sempre
a traversare a predisporre pause
né occorrono profondità sperdenti                                              
bastano superfici nell’aria lucida del
southwest ovunque tu sia
se l’accoglienza si fa fraterna
nell’ora che chiamate là sunset
senza alludere a quello nostro
che siamo ormai oriente tuo
d’un paese senza più denti)
basta una foto per dire la tua ora
immersione nella vita
trasmessa e confermata.

                                      Tucson (AZ)

giovedì 28 marzo 2019

Nella rivista on line www.overleft.it, che condirigo con Adriana Perrotta e Franco Romanò è uscito oggi un saggio scritto da Romanò che è stato particolarmente discusso da tutta la redazione per l'importanza dei contenuti che segnano con evidenza i nostri percorsi attuali compresi quelli della nostra produzione letteraria e di critica letteraria stessa.
Riporto qui un breve passo dall'introduzione:

L'intreccio capitalismo-patriarcato libero dai marxismi.

Introduzione
Continuiamo a rileggere Karl Marx. Un po’ per lasciarci alle spalle tutti i ‘marxismi’, un po’ perché nel Marx giovane continuiamo a trovare sorprese sulle quali ci sembra molto opportuno riflettere; ma su Overleft abbiamo anche lo sguardo puntato sul presente, soprattutto su ogni movimento che definisca la propria lotta dentro una critica radicale al capitalismo e al suo intreccio col patriarcato, un presupposto quest’ultimo per noi irrinunciabile che proviene dalle analisi e lotte di buona parte del femminismo. Il sistema patriarcale e capitalistico continua a produrre i propri antagonisti come accadeva nei due secoli precedenti (La storia non è finita con buona pace di Fukuyama e di chi è succube del Tina, There Is No Alternative, l’espressione varata da Margarteh Thatcher). Il capitalismo reale, seguito alla caduta del socialismo reale che nell’immaginario era la causa di tutti mali, ha prodotto decine di guerre nel giro di trent’anni, un impoverimento vertiginoso delle classi salariate e dei ceti medi, lo smantellamento del welfare, l’aumento vertiginoso di costi ambientali che rischiano di diventare irreversibili, riciclato tutti i modelli di oppressione a cominciare da quella di genere, modulandola in modo diverso nei diversi contesti. Tuttavia, sono nate del in questi anni ribellioni e movimenti, a volte più strutturate altre volte più caotiche, che hanno comunque prodotto lotte sociali e forme di resistenza che si collocano all’esterno e spesso contro le formazioni politiche e sindacali del marxismo novecentesco. Queste lotte rappresentano ormai un patrimonio variegato e non episodico di esperienze e di pratiche su cui ragionare. Dalla seconda e terza ondata dei movimenti femministi, a livello mondiale, alle lotte territoriali come quelle italiane dei No Tav oppure in Francia di Notre dames des Landes, o gli Zad, alle esperienze argentine delle fabbriche recuperate e occupate, di cui abbiamo anche qualche esempio in Italia con l’esperienza della Rimaflow, per esempio; ma si può continuare con i movimenti territoriali degli indigeni dell’America latina e più recentemente i Gilet jaunes in Francia, la mobilitazione degli studenti e delle studentesse sulle questioni climatiche e ambientali che hanno indetto una mobilitazione permanente con blocco delle attività scolastiche un giorno alla settimana e a tempo indeterminato e che oggi viene raccolta anche dagli universitari di tutta Europa, infine la riproposizione dello sciopero internazionale indetto dalle reti femministe.

domenica 3 marzo 2019

Jumping cholla


Lui è un cactus speciale, sta solo qui in Arizona. Se lo tocchi un rametto si stacca e ti salta letteralmente addosso, con la sua nuvola di aghi lunghi e durissimi diffusa su tutta la sua superficie ovale o tondeggiante sei fritto, gli aghi penetrano nelle dita o altrove e l'operazione di staccarli è insidiosa, il rametto sembra vivo, si rovescia su di sé infilandoti altri aghi. 

Dai buchi comincia ad uscire sangue e così è ancora più difficile tentare di estrarli. Alla fine con le forbici e in due abbiamo tagliato uno ad uno gli aghi fino a liberarmi dell'arciere kamikaze, sono rimasti gli spunzoni di aghi che a fatica abbiamo estratto. 

Più tardi ho dovuto liberarmi di un paio di aghi che avevano bucato la maglia e si erano infilati nel braccio. A parte l'emozione e un po' di dolore lui si chiama proprio jumping cholla ed è di una bellezza straordinaria. 
Armatissimo in propria difesa gli stanno alla larga soprattutto gli uccelli, mocking birds in testa, non sanno dove posarsi.

giovedì 24 gennaio 2019

Tordi beffeggiatori



E' il mimus polyglottos, diffusissimo qui in Arizona. Bel tipo. Indigeno degli Stati Uniti. Le due foto dalla mia casa sono quello che sono, in Wikipedia ce n'è di stupende. All'amico Neri il  mimus farebbe ovviamente venire in mente un nuovo tipo di mimetismo. La domanda: ma chi è veramente costui? è del tutto legittima. Il nome è quello scientifico, gliel'ha dato Linneo a fine settecento nella sua opera monumentale.
Noto perché passa il tempo a imitare sfacciatamente qualunque altro uccello, indistintamente. Non contento riesce a imitare anche grilli, rane e altri rumori, come gli viene. Qui i locali gli hanno dato un nome che vuole evidentemente rispondere alla domanda sulla sua identità. E l'hanno chiamato Mockingbird. In italiano suona: tordo beffeggiatore. Che rispetta il senso della parola inglese mocking la cui traduzione rimanda a derisorio, canzonatorio, beffardo. Insomma un clown, un attore, una prima donna, un comico, questa sarebbe l'identità del nostro. Del tutto poco credibile.
Facciamo nostre le buone intenzioni di quegli studiosi americani che così l'hanno nominato, volevano aggiungere un tocco di simpatia antropomorfica. Che non è una tendenza tipica degli abitanti del Nuovo Mondo, dato che quanto ad antropomorfizzazione gli antichi greci sono stati maestri.
Gli animali per sfuggire ai predatori attuano numerose strategie, alcuni si mimetizzano, gli opossum si fingono morti, altri sputano sostanze velenose. Il mimus, con quel gran daffare che si dà a parlare tutte le lingue che gli passano vicino, più che difendersi da qualcuno ha piuttosto l'aria di un tecnico della comunicazione, dell'accoglienza. Forse il nome americano che rimanda il suo canto al derisorio, al canzonatorio, non è poi così infelice. In effetti sembra farsi beffe di quel muro che a qualche centinaio di miglia più a Sud da dove abito il presidente americano sta tirando su con tanto di esercito.