martedì 16 febbraio 2021

Una fantasia utopica che scaldava



altoforno


 Una fantasia utopica che scaldava.

Ho spesso immaginato (anche in pagine scritte e lasciate al palo) la sospensione, l'interruzione definitiva di ogni attività produttiva, ho immaginato le colate incandescenti degli altiforni lombardi raffreddarsi lentamente per sempre. Non mi sono mai chiesto come avrebbe fatto il mondo a sopravvivere in quelle nuove condizioni. Davo per scontato che tutto si sarebbe ricomposto in una mutua composizione di capacità in grado di soddisfare nell'immediato bisogni e bisogni, con l'uso di alte tecnologie e saperi diffusi, il tutto a favore di una continua affabulazione della vita tra nobili conversari, pacifiche competizioni, scoperta di risorse. Come diceva tempo fa quel compagno delle pantere nere: se fabbrica deve esserci dieci anni devono bastare, il resto solo è vita. Una fiducia estrema in molteplici soluzioni che sbandivano per sempre produttività esasperata e imperialismo del denaro. Insomma una fantasia utopica che scaldava. Il fatto che l'evento sia accaduto nel modo che subiamo col Covid non scalda per niente la fantasia né l'immaginazione. Non può venirne niente di buono. Al fondo della mia immaginazione c'era il rifiuto del lavoro e la ribellione contro un sistema organizzato atrocemente per la distruzione del mondo. Oggi invece siamo chiamati in massa alla responsabilità collettiva di avere contribuito chi più chi meno al disastro e nulla importa che molti tra noi denuncino il disastro imminente da decenni.

A me sembra che a questo appuntamento i Sapientes siano arrivati stremati. Incapaci di tornare a fare Storia. Il re è nudo ma non fa ridere nessuno. Storditi e con la febbre forse in realtà non c'è più nemmeno voglia di tornare a lavorare, si cercano perlopiù pretesti per ritardare la ‘normale’ competizione per il lavoro. Gli scenari possibili sono talmente tanti che persino l'immaginazione fatica a darne ragione. Ma credo che ci vogliano troppe energie per modificare oggi un intero sistema così complesso e complicato. Chi ne avrà di rimanenti forse riuscirà a ritagliarsi a modo proprio sacche autonome e autodeterminate di lavoro produttivo e riproduttivo apparentemente sciolto da legami cogenti ma in fondo solo piccoli corpi collaterali interni al sistema. Uno scenario insomma da popstapocalisse. Nel frattempo ci sarà il vaccino per questo coronavirus e forse avremo qualche anticorpo attivato per affrontare il prossimo.



mercoledì 3 febbraio 2021

Lucy, reperto A.L. 288-1

Eritrea, la depressione di Afar, Dancalia
 


Lucy, reperto A.L. 288-1                                  (a Adriana)

 
ecco che maneggiare millenni diventa

addirittura possibile, lo scrittore di versi

si sente a casa quando la parola che usa

è senza dubbi la più vicina al senso,

allora la verità non è davvero solo

la somma degli anni, in certi casi rischia

di folgorare, l’attenzione si raddoppia se lo scarto

col presente diviene da secolare millenario,

qualcuno azzarda lemmi poco collaudati se

si tratta di milioni di anni. La vertigine

ora può farsi smarrimento il computo oltremodo

estendendosi di anni, bastano pochi reperti

catalogati e conservati e ti ritrovi compagno

per strade non visibili

per paesaggi che la Storia non raggiunge.

 

 

A volerlo riconoscere il territorio di Lucy

una mappa non basterebbe nemmeno

per le più abili scritture dello spazio,

ma qui è in gioco il multitempo esteso simultaneo

tra qui e allora, il reperto recita A.L.

288-1 tremilioni di anni

o poco più, Lucy nome cantato nei settanta

cammina già eretta ma con le braccia ciondoloni

afferra il ramo, ci vive sicura ci dorme più sicura.

Ecco il paesaggio si aggiusta in presenza e la mappa

si fa trasparente di secoli, giorni, ore.

 

Il muco secreto ora ha quell’odore lì,

anche rami e foglie hanno l’odore grosso, la lingua

salata, l’occhio allucinato. Verranno

in molti, fa senso montare sul ramo più alto

nell’intrico più aggrovigliato arriverà

il più agile e veloce, trapasserà il suo seme

a balzi di secoli e millenni, un mucchietto di enzimi,

di geni trascritti in sequenze speciali.

Quanto ci vuole perché un salto di milioni

di anni riveli il salto evolutivo di un dito

divenuto opponibile capace di spezzare

un ramo e usarlo come bastone?

 

Lucy disarma solo al mattino quando raschia

la terra in cerca di radici, nel giorno affocato

di luce l’intrico più alto dei rami è ancora

rifugio, il chiarore notturno svela libere erbe

alte della savana sonora e senza orizzonti.

L’occhio di Lucy perfora millenni, salda ovunque

le mani al vuoto e al pieno, scende la costa

di altipiani sollevatisi un tempo come spalle

di gigante coi piedi infuocati nel magma,

barriere naturali per un pianoro infinito di erbe

macchie cespugli, l’umido si scioglie, il clima

più secco fa arretrare la foresta. Si fa il territorio

ospitale e Lucy e i suoi simili, a ridosso di strisce

magnetiche nella depressione di Afar, affrontano

la savana e allenano posture erette in difesa.

 

Born to run, come in quegli stessi settanta

cantavano in America, la migrazione iniziò

verso Est, un’espressione di fede non più

solo verso la natura, c’è ormai di mezzo la Storia

la pietra scheggiata il prolungamento degli arti

la manutenzione del fuoco, tutto per una eccedenza

vitale inesauribile che spinge i più verso tutti

i confini del pianeta, lascia indietro solo

chi ha nostalgia e si dedica al restauro dei resti.

 

Quelli rimasti oggi li chiamano Dancali.

La loro figura è snella e i lineamenti

molto fini. Allevano cammelli e vendono

il sale abbondante di antichi laghi costieri

evaporati. Le piccole capanne ricoprono

di rami e stuoie, le fanno annidate intorno

a caverne naturali, nelle regioni costiere

costruiscono ricoveri a forma cilindrica

con pietre sovrapposte a secco.

Qualcuno potrebbe pensare che la natura

voglia imporre le sue ragioni alla Storia,

vulcani e terremoti sono sempre più frequenti

deformano di continuo la depressione di Afar

dove stavano i resti di Lucy.

La roccia vulcanica fragile cede e il pianoro

si abbassa lentamente, silenzioso penetra l’oceano.

L’inabissamento dell’intero territorio è previsto

entro il  millennio.