martedì 27 dicembre 2011

Se nostalgia lo preme Orlando ti porta in città,
nella latteria italiana che apre sul retro
stanze riservate. Lo salutano con deferenza
ma si vede che il posto migliore è destinato
ad altri, al boss in tweed, col solitario al mignolo.
Racconta di sé. Ma è la mano a disegnare
nell'aria tempi inenarrabili a parole.
Di regine di strada. Di battute di caccia.
Indica i pezzi grossi mano a mano che entrano,
resta in silenzio, abbassa la voce - quando
torni in Italia ti dico io da chi andare,
gli fai due piaceri e ti sistemi -.

Quella qui sopra è la versione, modificata oggi, dei versi che compaiono nel post di lunedì 28 novembre  e che qui riporto

Se nostalgia lo preme Orlando
ti porta in città, nella latteria italiana
che apre sul retro stanze riservate.
Lo salutano con deferenza
ma si vede che il posto migliore
è destinato ad altri, al boss in tweed,
col solitario al mignolo.
Racconta di sé. Ma è la mano a disegnare
nell'aria tempi inenarrabili a parole.
Di regine di strada. Di battute di caccia.

Sono andato a rileggerli oggi dopo aver scritto, su un post che ho messo per ora a maturare tra le bozze, qualche altro verso su Orlando. Appena ho aperto il post solo a guardare come erano strutturati mi sono parsi esangui, anemici e persino disturbati! Li ho trascritti su un unico rigo virtuale e poi ho ricominciato a comporre. La versione che qui appare all'inizio ha un altro ritmo ed è decisamente meglio. Tra l'altro ho potuto aggiungere quattro versi finali che avevo in mente da tempo ma che non sapevo dove collocare. Andavano qui.
Orlando preme sulla memoria. Stanotte mi è comparso con la cintura solita dei calzoni sotto il ventre prominente e in essa infilato l'uncino per afferrare e trascinare i sacchi di patate. Un personaggio piuttosto triste, come magliaro non aveva commesso delitti gravi tranne imbrogliare un po' di gente, se l'era cavata con qualche mese di prigione ogni tanto. Ora si era imboscato in quel campo, forse con qualche conto in sospeso con la giustizia ma anche perché il fisico non lo sosteneva come prima. Aveva il suo giro in città ma si teneva fuori dalla malavita. Almeno così mi diceva. A quel tempo doveva avere circa cinquantacinque anni, era un bell'uomo, si teneva bene ma oggi dovrebbe avere più di centodieci anni. Viveva solo. Sarà finito in una fossa comune oppure sul tavolo di anatomia dell'Università.
L'amico S. mi chiede se quel lavorio notturno, di cui parlo ogni tanto, è reale o è una finzione. Non è una finzione. Dormendo o comunque nel dormiveglia raggiungo uno stato di concentrazione che nel quotidiano raggiungo a fatica e raramente. Anche perché non sono molto bravo a tenere lontano le distrazioni. Credo anzi, come succede a molti, di condizionare i miei stessi sogni e gli stessi spostamenti onirici non mi allontanano mai di molto dalla necessità di mettere a fuoco una questione. Di notte in effetti ho sistemato diverse cose. Mentre sto scrivendo queste ultime parole  la memoria, quasi una impicciona che vuole sempre dire la sua a tutti i costi, si infila tra loro e me. Fu durante una notte che presi la decisione di partire per Colonia. Non ricordo più di tanto, certo non dovette essere una notte tranquilla. Al risveglio mi sono sollevato a sedere sul letto e mi sono detto che l'unica soluzione era andare a Colonia. La fuga era stata insomma concepita e l'avrei realizzata di lì a un paio di settimane, al massimo tre, il tempo di fare il passaporto. Che poi fosse Colonia la meta scelta, la cosa era del tutto irragionevole quanto irrilevante. Colonia era la città dove un amico di liceo era andato a passare l'estate, il suo racconto vivo mi aveva impressionato e certi indirizzi che lui mi avrebbe dato, quello ad esempio della casa dello studente, sarebbero tornati utilissimi.
La fuga invece non aveva appunto bisogno di indirizzi. Aveva solo bisogno di essere realizzata.


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