mercoledì 7 dicembre 2011

Sono partito per Colonia una sera d'inverno. Una volta sistemato sul treno mi sono addormentato. Al risveglio la giornata era cominciata da un pezzo e lo scompartimento era occupato da donne che chiacchieravano tra loro in tedesco. Non capivo ovviamente nulla. Lo stridore della loro lingua non mi colpiva più di tanto. Colonia sarebbe comparsa e sarei sceso, tutto qui. Aver dormito così serenamente probabilmente allora dovette avere un certo significato che ora, a distanza di cinquantanni, mi sfugge, ma non ci vuole molto a pensare che quel sonno aveva messo tra me e Milano una distanza che non era solo il numero di chilometri percorsi durante la notte.
Quando scesi alla stazione, che sembrava quella di Firenze, mi sbarazzai della valigia al deposito bagagli, mi infilai le mani in tasca e mi affacciai a guardare scorrere il Reno. I gabbiani gridavano all'uscita degli scarichi, c'era un discreto movimento di barconi a motore, la gente indaffarata. Poi mi avviai verso il Duomo, tenevo d'occhio le guglie per scegliere la strada. Durante la notte aveva nevicato abbondantemente, nonostante la mia disposizione d'animo a fare il turista non ci volle molto a convincermi che dovevo darmi da fare altrimenti. L'aria era fredda e la luce poca, mancava poco a mezzogiorno ma nuvole pesanti d'acqua e neve si raccoglievano e tutto faceva pensare che di lì a poco il buio e il freddo sarebbero aumentati. Mi diressi verso Nord e attraversai il centro della città e dopo un grande parco ricco di alberi e neve entrai nel quartiere universitario, così come indicava la cartina della città. La casa dello studente era accogliente. Pur senza spiccicare una parola di tedesco ottenni una sorta di salvacondotto grazie al quale potevo rimanere a dormire lì per una settimana. Tornai faticosamente alla stazione centrale ne ritirai la valigia e rifeci il percorso all'indietro, tutto a piedi, solo in seguito mi resi conto che la città era attraversata da una rete di tram e autobus molto efficienti e non costosi. Nella casa dello studente avevo un letto in una camerata grandissima e affollata. Un nero statunitense di proporzioni considerevoli mi prese un po' sotto balia. Mi offrì pane nero imburrato per cena. Aveva un'aria gioviale e sicura di sé. Siamo riusciti a comunicarci l'essenziale grazie all'uso di un paio di dizionarietti. Allora non me ne resi conto ma quanto gli confidai era la dimostrazione che il senso della mia presenza a Colonia non mi era ignoto come volevo dare a intendere a me stesso. Ancora oggi mi sorprende la lucidità con la quale gli dissi che era mia intenzione tornare in Italia per riprendere gli studi e segnatamente la letteratura italiana e la storia. L'americano continua a chiedere why e io tuttora non saprei come rispondergli di preciso. Non lo so oggi, non lo sapevo certo allora, però lo dissi, lo dissi con un pizzico di prosopopea come se stessi parlando di una profonda convinzione scientifica. Perché letteratura italiana e storia insieme? In qualche modo una spiegazione sarebbe venuta molto più tardi ma per il momento tutto ciò fu sufficiente per accreditarmi presso l'americano, bisonte nero super equipaggiato che girava le università europee per farsi una cultura prima di tornare al suo dottorato negli States. Chissà se è ancora vivo. Sarà in pensione come me.

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