mercoledì 21 dicembre 2011

Cristoforo Colombo voleva arrivare in Oriente andandoci da Occidente. Buscar el levante por el poniente. Oggi stiamo assistendo a una sorprendente trasformazione. Sembra sempre più evidente che a spingersi verso Oriente si ritrova l'Occidente che stiamo perdendo.  Certo la sorpresa per quegli amici della mia generazione che quaranta e più anni fa, Beatles compresi, partì per l'Oriente per trovarci l'Oriente, deve essere tanta. Sempre più ne tornano delusi. India e Cina, che complessivamente fanno quasi tre miliardi, sono sempre più occidentalizzati. Con un paradosso in più per la Cina che, paese sostanzialmente capitalistico, è governato da un partito comunista. Ma le città cinesi con i loro grattacieli in acciaio e cristallo ormai stanno sostituendo quelle americane anche nel nostro immaginario, la magia di New York infatti qui si ripete almeno una dozzina di volte in città grandiose sovrapopolate.
Fine dell'Oriente. Adesso che anche laggiù è Occidente e ci andiamo 'por el levante' non 'por el poniente' mi sento più in pace con me stesso. Ai richiami mitici dell'India degli anni sessanta infatti non ho mai concesso nulla imbevuto com'ero di americanismo. Che passava attraverso i film western, attraverso Cesare Pavese, i romanzi che traduceva, la sua poesia, attraverso infine, diciamo così, il mio personale fordismo gramsciano, dovuto a uno zio e a un cugino che lavoravano nei cantieri navali di Trieste, quando ancora c'erano nell'immediato dopoguerra, e a un camallo del porto di Genova, una delle persone più generose che io abbia mai conosciuto.
Cristoforo Colombo fece quattro viaggi in 'Oriente'. Rimase convinto fino alla morte che quello era l'Oriente, anzi le Indie, e non un altro continente che stava in mezzo fra l'Ovest e l'Est. Avesse avuto in mano i calcoli di Eratostene, che quasi milleottocento anni prima aveva calcolato con grande precisione la circonferenza della terra, si sarebbe reso conto che i tempi delle sue traversate erano troppo brevi per poter ritrovarsi in India. Colombo non ha fatto altro che estendere a Occidente l'Occidente. Che notoriamente è sempre stato più veloce dell'Oriente. Tanto è vero che, dopo aver aperto la strada, mezza Europa si è trasferita laggiù e ha occupato in breve il continente nuovo fino alla fine del West, impedendo di fatto che l'Oriente ci provasse da quella parte, limitandone i lenti tentativi alle coste della California.
Ma l'altro paradosso cui viene da pensare riguarda il movimento attuale delle popolazioni da Est verso l'Ovest. L'Oriente che sta diventando sempre più Occidente conosce un fenomeno classico dei processi di industrializzazione, l'immiserimento di larghi strati popolari da una parte, contadini, lavoratori del piccolo commercio nomade, piccoli proprietari di terra, bottegai, ma anche strati di popolazione istruita e con qualche specializzazione tecnica o intellettuale: tutti costoro finiscono con l'investire gli ultimi guadagni nel viaggio della speranza verso i paesi più ricchi e industrializzati da tempo.
Questa immigrazione di massa nei nostri paesi può dare ispirazione a una poesia epica moderna?
Quella della poesia epica e di un suo ritorno d'attualità sembra sia un dibattito abbastanza acceso. Non credo molto alle sue possibilità. Penso però che la poesia attuale non possa sottrarsi a 'sentire', in svariati modi, quanto sta succedendo. In questo senso credo che la poesia-racconto di Cesare Pavese, dalla quale sono personalmente partito nella mia formazione di scrittore di versi, abbia molto da dire ancora quanto a stilemi. Ad esempio appunto il suo verso di tredici e/o di sedici sillabe, mutuato in buona parte dal verso whitmaniano.

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