domenica 11 dicembre 2011

I versi di mercoledi 30 novembre non funzionavano per niente. Non c'è niente di peggio che un primo verso brutto. La strofa l'avevo abbozzata questa estate ma era proprio una cosa bruttina. Tra l'altro era fuori tema perché avevo adoperato il passato remoto. In quel momento mi premeva di più l'occasione del ricordo, l'episodio di violenza di cui l'amico sardo era stato vittima, e le implicazioni che quel gesto oggi mi significano. Ma il primo verso che ho sistemato nella prima stesura del post del 30 nov. era bruttissimo. Continuavo ad aprire il blog per rileggerlo sperando in una mia conversione ma non c'è stato modo. Tutte le volte suonava pesante, ipermetro, senza suono, senza ritmo. Era così:
La squadra di operai irrompe sul piazzale delle passioni.
Eppure 'la squadra di operai' era necessaria, e necessario era 'il piazzale delle passioni'. Quanto a 'irrompe' era inevitabile. Ma dopo 'irrompe' sentivo necessaria una crasi, una cesura. Che era possibile. Ma poi 'sul piazzale delle passioni' non aveva la struttura di fine verso, sembrava più l'inizio di un altro. Portarlo a capo a farne l'inizio di un altro significava dare valore di verso compiuto a quanto rimaneva ma questo non mi tornava perché non era l'irrompere che mi interessava ma era l'irrompere nel piazzale delle passioni. 'Sul piazzale delle passioni' doveva essere ridotto a un numero di sillabe inferiore. Ad esempio così: sul piazza di passioni. Così: la squadra di operai irrompe sul piazza di passioni. Si tratta di un novenario più una cesura più un settenario.
La soluzione è sembrata venire l'altro giorno ed è quella che nel post in questione compare ora. Ma non ne sono affatto convinto. Il ritmo è strapazzato da tutte quelle zeta e esse. La soluzione ideale in questo momento mi sembra piuttosto questa: la squadra di operai irrompe sul piazzale. Un alessandrino! Quanto a 'delle passioni' ho l'impressione che dovrò rinunciarvi. Ma è troppo funzionale all'intero racconto e quindi andrà recuperato altrove. A meno di. A meno di questa soluzione:

Irrompe sul piazzale delle passioni,
la squadra di operai non tende un agguato,
colpiscono al corpo risparmiano il viso,
il giovane sardo che ama la greca
incassa in silenzio si affloscia nell'erba.
La squadra di greci addetta al montaggio
in fabbrica strappa comando ai suoi capi
difende il salario nel ritmo pattuito
della catena – solo a chi è stanco sfugge
il ritmo accelerato senza maggiore compenso –,
sul piazzale la squadra difende l’antico diritto
dell’uso patriarcale, il possesso del corpo
e del cuore delle donne.



Tra l'ultima delle righe scritta, dove dice: 'A meno di. A meno di questa soluzione:' e l'ultimo verso della poesia poi riportata sono passate due ore! Però forse funziona. Soprattutto il primo verso, una volta scritto com'è poi ho ricostruito tutta la poesia sul suo ritmo.

1 commento:

  1. Irruzione sul piazzale delle passioni a rivendicare antichi diritti patriarcali. Il concetto, che chiama in causa -passivamente- le donne, è interno a una poesia, che ricorda un episodio di violenza tra uomini. La dimensione letteraria e l'abbinamento donne e passioni richiamano da un lato lo stereotipo delle scrittrici che si occupano prevalentemente di passioni e sentimenti, realtà alternativamente incoraggiata dai critici (Croce prima di tutti) o biasimata e considerata minore nell'istituzione letteraria; dall'altro rimandano a alcune scritture che proprio per essersi occupate di questi temi in modo del tutto divergente dal sentire comune, possono essere definite scritture antipatiche. Antipatiche perché disattendono le aspettative create dall'accoppiata "scrittrici e sentimenti". Ma dal momento che sono grandi scrittrici quelle a cui penso: Magda Szabò, Agotha Kristof e Elfriede Jelinek, ecco che la connessione tra le passioni e i sentimenti che queste autrici narrano nei loro romanzi e la scrittura aspra e per nulla compiacente che adottano nel racconto arriva in qualche caso a provocare un senso di fastidio. Un fastidio per nulla in contrasto però con il fascino della loro voce, che afferra dall'inizio alla fine della lettura, lasciando un po' stremate/i e quasi orfane/i di personaggi e emozioni.
    Sarà che tutte e tre le autrici, Jelinek, la più giovane è ancora vivente, hanno vissuto una vita carica di sofferenze per ragioni personali e politiche, sarà che sono nate nell'area e nella cultura austroungarica e, in antitesi con il mito dell'Austria felix e democratica (mentre l'adesione al nazismo fu molto sentita, anche se per ragioni politiche si preferì nel dopoguerra sorvolare e sottolineare l'aggressione da parte della Germania), hanno conosciuto fin dall'infanzia situazioni sociali e familiari fortemente reazionarie e repressive delle libertà.
    Non ricordo più quale scrittore o scrittrice ha affermato che l'Austria è il paese in cui si picchiano di più i bambini per educarli. Sarà per questi e altri motivi che i loro romanzi rovesciano complemento l'immagine "romantica" del binomio donne e passioni, mettendo a nudo la realtà di ipocrisie e violenza sottesa ai rapporti cosiddetti d'amore, sociali e prima di tutto familiari: tra genitori, spesso madri, e figli, mariti e mogli, amici e conoscenti.
    Ritorno alla poesia che mi ha ispirato queste riflessioni, gli uomini combattono tra loro per mantenere diritti patriarcali, alcune donne, scrittrici, ma non solo, svelano la violenza a fondamento di certe strutture, che si cela dietro dietro il paravento delle passioni e dell'amore.

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