Sono cresciuto sulle strade
su
quelle del Sud polveroso
su
quelle del Nord piene di vento
ovunque
ho lasciato fratelli
e
la miseria non era per strada
la
ricordo solo nelle case.
Le strade al Nord le incrinava il vento
sfrontatamenente
svelava
i
dolori alle case sventrate
ma
la miseria non era per le strade
perché
nell’alito dei giorni
diafani
e secchi
già
correvano ovunque
bande
di fratelli.
Si andava contro vento
il
vento tra le labbra
il
vento negli occhi sguscianti
alle
spalle fischiava di porta in portone
e
non c’era pietà per i vecchi
ammutoliti
al limitare di strade
che
non erano più loro,
si
andava contro vento
nessuno
tenendosi per mano
perché
qualcuno tossiva sangue
in
quei portoni di Trieste sventrata.
Quelle bande ricordo al porto
a
San Giacomo o dietro l’ippodromo
e
tra noi più violenti gli insulti
a
perdere un tempo per casa,
al
porto tenevano i vecchi il lavoro
nessuno
poteva convincerli più
a
migrare sulle strade,
là
prendevamo il presente
sono
sempre tante le strade
ma
mai bastanti i sassi
per
abbattere le case del tempo
noi
sassi aggiungevamo ai sassi
perché
a nessuno venisse in mente
di
rifare case e case sulle rovine,
sono
cresciuto tra casa e casa
le
rispetto per quel tanto d’angoli
e
cantoni che fanno tra loro
e
sono preziosi posti per echi e sentinelle
all’incrocio
del vento.
Un fratello ricordo era uno di quelli
ma
ci rivedevano sguardi
che
non erano legami di sangue
le
strade curve montava ingobbito
spavaldo
d’insulti ma poi generoso
come
chi finalmente lo è per le strade,
non
mi disse ti insegno a sputare
ma
lui solo nel vento sapeva
correre
sbieco frustandosi il culo
schizzando
da labbra strizzate
lische
rapprese di ghiaccio e saliva,
un
giorno mi disse fratello tu bari
e
schivò col silenzio il dolore da me,
non
perdonava chi perde barando.
Nessuno parlava di fiori per strada
ma
negli angoli di nude case
il
vento accordava per noi musiche nuove
malinconiche
ballate
stringevano
cuori e cervelli a difesa
dei
nostri sensi acuminati,
non
timore di violenza
né
pudore di contatti sconsacrati
ma
il vibrare dei polsi freddi
per
le gare senza sconfitti.
Più d’uno di noi sostava costretto
a
garretti stroncati nei larghi portoni
l’affanno
di asma
dei
vecchi ubriachi di grappa
bevuta
con l’aria vetrosa
di
mille fessure del Carso,
ma
sempre uno ne avanzava
di
piazza in piazza scendeva
le
scalinate di pietra
la
chesterfield sbieca su labbra viola,
avevamo
voltato le spalle per sempre
al
porto dei ferri divelti
sarebbero
state pur spente
una
volta per tutte le antiche officine.
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Scendendo al Sud
qualcuno
ha subito detto che ero sprecone
che
portavo calzoni alla zuava
ma
alla lotta impacciavano poco
colpi
ne conoscevo anch’io,
c’era
rabbia nell’aria asprigna di mare
urlavano
le madri di casa in casa
vi
tornavano con sporte di grandi pani,
tiravano
i maschi su con paura,
d’inverno
bruciavano pali
rubati
pieni di catrame
la
domenica sul marmo
qualcuno
versava zucchero sciolto,
era
difficile uscire di sera
mirare
coi sassi ai lampioni
ondate
battevano il lungomare
e
spumavano per strada,
l’umido
dei muri
incrinava
le vertebre ai vecchi
seduti
attorno ai bracieri.
A primavera non c’era violenza
intrecciavamo
palme su brevi marciapiedi
a
blandi rintocchi di vecchie campane,
ma
nell’alito caldo dei giorni crescevano i sensi
le
armi erano tante
non
sempre vincevano a sassi
le
bande musulmane in scorreria
( chi le riportava alla memoria? ),
occupavamo
i terrazzi sul mare
un
po’ arabi e bianchi
palazzine
misurate per tanti padroni d’olive
delle
Puglie interiori,
arrivavano
il primo di giugno
materassi
sul carro
al
cancello sostava la giovane
umida
e nera di umori di terra
ai
capelli puntava forcine
le
crescevano a sorsi i seni nell’aria.
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Quando sono arrivato in questa Milano
del
Nord e i navigli erano ancora aperti
alle
nebbie pavesi
ho
temuto per un po’ i lunghi capolinea
e
li ho cercati a lungo
saltabeccando
su immagini e immagini
con
righelli e compassi precisi
solitari
vortici
litanie
di arresti e ritorni
rintocchi
di aria spostata
bolle
d’aria circonvallate
per
moti concentrici in fuori
perché
non ci sono angoli a Milano
e
case e palazzi ruotano per sempre.
In
disordine il bagaglio, a cuore ripiegato
il
mio diviso io rollò con sicurezza
sulle
circonvallazioni,
non
avevo sino in fondo numerato
gli
accordi di chitarra
ma
dentro innocue superfici
gli
abitanti in molti e i pochi cittadini
sembravano
disporsi volentieri,
parevano
all’ordine tutti segnati
dentro
ruoli e professioni
proprio
in quanto prestazioni
sineddochi
di sé
disertate
le radici
fuggiaschi
come me.
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Qualcuno dal Sud è salito a primavera
su
queste strade accavallate
dentro
le officine,
gli
ho sgranato le ricche notizie
statistiche
serie alla mano,
gli
ho chiesto dove ti metti?
Chi
è rimasto non mi ha badato,
si
è fermato a raccogliere le idee
lì
alla darsena
che
la corrente è livida,
ci
vive un compare di famiglia
brava
gente che giù ha la casa
a
terrazza sul mare
qua
vende sigarette e conta le sue morti per galera,
ricordavamo
insieme le preghiere
il
rosario, detto sgranando spaghetti di bocca
che
la madre tappava bottiglie di salsa
la
sorella piegava lenzuola
e
il vecchio poetava
facendo
puntelli al melograno.
Si diceva che qui nell’aria
c’era
una vecchiezza un po’ strana
che
nuove erano solo botteghe con dentro botteghe
si
diceva che a stupirci
erano
i mille cortei di tute blu
furenti
di parte espropriata,
si
diceva che a stupirci erano donne
ormai
tutte femmine sorelle
e
non c’erano più madri.
Poi
qualcuno ha staccato le mani dai ferri
di
quelle officine
di
balaustra in balaustra di sera
si
sono passati la voce,
con
un solo biglietto si sono fatti portare
a
tutti i capolinea della città,
hanno
colorato i muri e orinato nelle università
(
l’esegeta di Marx professore in Statale
ci
gridava con Croce avevamo una guida ),
domani
si occupa e si fa corteo
le
chiese sono tante ma anche i sagrati.
Altri
erano già in corsa per le strade,
tutti
insieme hanno segnato vertici di comunità,
ridisegnando
angoli a case e muri.
Milano
1974.