Ogni volta che m'imbatto nella presunta 'chiaroveggenza' dei poeti mi assale un prurito allergico, non perché in fondo non si possa 'addebitare' qualcosa del genere a certi poeti ma perché subito qualcuno ne approfitta per affondare la poesia di costoro in aspetti del folclore spiritualista, animista, trascendentalista e quant'altro.
Nel caso di Leopardi poi, che qualche motivo molto più di altri di essere 'accusato' di chiaroveggenza ce l'ha davvero, le cose si complicano. Perché del pensatore moderno italiano più materialista si finisce con l'assumere le sue riflessioni all'interno della nota visione pessimistica dell'esistenza che gli fa vedere tutto nero, inconciliabile con la sua sofferenza personale, i malanni, ecc.
La critica letteraria, sin dalla seconda metà del secolo scorso, ha messo le cose abbastanza a posto, ma finché ho insegnato nelle superiori milanesi rarissime erano le storie della letteratura che accoglievano questa lettura. Come stiano oggi le cose non lo so, ma presto con i nipoti che arrivano al liceo, avrò informazioni di prima mano.
E dunque sì, Leopardi un po' chiaroveggente lo era. La critica negativa al suo tempo investe il progressivo allontanamento dalla natura da una parte e il contemporaneo affermarsi della primazia dell'utile e del sapere economico dall'altra, orizzonti per lui chiusi e sterili e pertanto di crescente infelicità per gli umani.
Nessun messaggio critico dall''800 poteva arrivare sino a noi con tanta sofferta chiaroveggenza. Dalla scrittura in versi e da quella in righe dello Zibaldone, delle Operette morali, dei Pensieri.
Certo, all'astratto ottimismo dei suoi contemporanei che promettevano un futuro di infinita felicità nel capitalismo incipiente Leopardi oppose un pensiero critico ostile (peraltro ricambiato), ma è sempre lui che scrive nello Zibaldone: "...non ardirei però estenderlo a dire che l'universo esistente è il peggiore degli universi possibili, sostituendo così all'ottimismo il pessimismo. Chi può conoscere i limiti della possibilità?". (Zibaldone di pensieri, Milano, 1991, vol.II, p.2297)
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