lunedì 4 marzo 2013

Hans a Colonia

Ho un rammarico per il mio Inverno a Colonia, non sono riuscito a inserire dei versi su Hans. Ma non è detto che non succeda. Intanto recupero qui quanto avevo annotato in bozza ancora prima di concludere il poemetto.


Nel dormiveglia della notte che ho ormai alle spalle mi è tornato di nuovo alla mente colui che chiamo Hans, con poche possibilità che questo fosse davvero il suo nome. Nel dormiveglia avevo davanti il suo volto segnato da una cicatrice che impegnava l'occhio sinistro e scendeva fino alla bocca, la cucitura non aveva trovato pelle e carne sufficienti dimodoché l'occhio risultava per un terzo chiuso e la bocca si torceva verso sinistra. Ma Hans non aveva un'aria sinistra, non tanto quanto lui pensava. Convinto di essere spaventoso quando t'incontrava mandava un grido di guerra per atterrirti sgranando quanto gli restava degli occhi e spalancando quanto gli restava della bocca. Più che impaurire indispettiva, per quel gridare che era anche chiusura di qualsiasi comunicazione, che forse temeva. Nel dormiveglia gli ho detto ti chiami Hans vero? ma lui mi ha risposto col grido di guerra col quale era solito salutarmi: spachetti, spachetti, manciare, manciare. Ma ci furono davvero poche parole fra noi. Anche quando, dopo qualche mese, ne avevo un po' in tedesco da usare. Credo che avessimo una soggezione reciproca. Lui era veramente un proletario e quel mestiere lo faceva perché era probabilmente l'unico che aveva trovato e che sapeva fare, non aveva evidentemente diplomi da spendere, quanto a me si doveva vedere da lontano che non appartenevo alla sua stessa condizione. Anzitutto avevo due paia di pantaloni, poi nella valigia m'ero portato un po' di libri, comprese due grammatiche, una di inglese e una di tedesco. E poi mi ero presentato come studente. Ma non era vero. Da più di un anno facevo l'impiegato contabile. Forse entrambi ci riconoscevamo nella nostra solitudine. Dopotutto anche lui si sentiva estraneo all'insieme, veniva infatti da un paesino del sud, a Colonia era un immigrato interno anche lui. La storia tra di noi ebbe un seguito. Un giorno mi offrì il pranzo in una trattoria. A tavola ordinò lui, fece insomma tutto lui. Fu allegro ma non ci fu niente da condividere. Nessuno di noi due conosceva la lingua dell'altro ma da quello che risuonava nella sua voce capii che lui parlava un dialetto. Ma il gesto è rimasto notevole nella memoria. Per questo me lo sono sognato a distanza di cinquant'anni. Continuo a volergli bene nonostante  gli spaventi che mi procurava mentre ero assorto a pelare patate.

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