martedì 20 marzo 2012

Inverno a Colonia.
Questo ora risuona come titolo definitivo.
E non perché la mia stagione attraversò solo l'inverno: arrivai in inverno, era gennaio, ma me ne andai a autunno inoltrato, in realtà cioè vidi l'alternarsi quasi completo delle stagioni dell'anno.
Ma fu inverno per più motivi. Soprattutto perché, se la tensione complessiva rimandava alla necessità dell'amore, amore lì dentro, in quel campo, non ce ne fu. Ma la posta in gioco era anche un'altra. La dimensione del lavoro sarà il tema della quarta e ultima parte del poemetto. Tra lavoro manuale e lavoro impiegatizio, le due dimensioni del lavoro che avevo sperimentato sin lì, stavo liberandomi con fatica verso la dimensione del lavoro intellettuale. Avevo contro mio padre che all'arte aveva dedicato tutta la sua vita, ma avevo contro anche mia madre che temeva a priori che la vita da intellettuale mi avrebbe allontanato da lei.
D'altra parte qualcosa di intellettuale a quel punto dovevo fare per campare visto che in fabbrica non ci andavo e come impiegato avevo già dato. Certo non potevo pensare di campare facendo il poeta. Anche se continuavo a scrivere versi, come fossero appendice caudale inevitabile. Versi per lo più poco curati, poco convinti.
Inverno a Colonia.

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