sabato 13 maggio 2023

Poesie civili, poesie politiche, poesie di epica nuova



                                                     la volta a crociera, una rivoluzione che dura
 

Da insegnante ho evitato di parlare di poesia civile. L’espressione, con la quale peraltro sono cresciuto dentro il liceo classico, dopo la critica a volte sin troppo radicale dal ’68 in avanti, aveva finito con l’evidenziare una sua mascherata connotazione ideologica. Era un modo tartufesco per evitare di usare l’espressione ‘poesia politica’. Tuttora, nonostante il ’68 o forse proprio per questo, sostantivo e aggettivo non abitano affatto insieme. Trascuro ora la totale irrilevanza della poesia in generale, vero è piuttosto che se ad essa accostiamo il termine ‘politica’ si storcono i nasi dei più.  Eppure da sempre esiste una poesia politica. Ma preferiamo chiamare anche Le ceneri di Gramsci un poemetto di poesia civile. E anche quello di Giuseppe Giusti ‘Sant’Ambrogio’. E il tono satirico di Montale in ‘Satura’ contro la società dei consumi non ha forse un passo da engagé?


Ciò che poi quella parola porta con sé appesantisce di molto. Porta con sé ‘partiti’ e ‘ideologia’. Ed è del tutto inutile sperare che ‘politica’ venga intesa solo come ciò che riguarda la polis, la collettività.

Lungi dall’essere innocente, la parola ‘civile’ nasconde ideologia e partiti. Giusti e Montale erano entrambi liberali e avevano entrambi un partito a cui riferirsi, a distanza di un secolo. Quanta ideologia stia dentro il neoliberismo attuale non mette conto parlarne qui.

Così ecco che, apparentemente lontano da partiti e ideologie, nel secondo Ottocento e nel primo Novecento, salta fuori il ‘poeta vate’, che, col ruolo di maestro e guida, celebra invece proprio valori e ideali politici, così Carducci, Pascoli, D’Annunzio sono annoverati tutti tra i poeti civili.

A voler andare indietro si dovrebbero rivisitare alla luce di queste considerazioni decine di poeti: da Parini ad Alfieri, da Foscolo a Manzoni e via dicendo. Per quanto riguarda l'oggi valga, per quello che vale, la mia esperienza: un noto poeta col quale anni fa presentavo una mia raccolta, accolse i miei versi così: '...insomma sarebbe come se tu che sei studioso di Storia scrivessi versi di natura storica...'! La Storia si sa è tangente alla politica. Se poi tu sei di sinistra... Perché in effetti nel nostro paese in poesia parlare di un io collettivo fa molto sinistra... se non comunista.

Uno degli intenti che hanno animato me e Franco Romanò nell’avviare dieci anni fa il progetto che abbiamo chiamato ‘Di Epica nuova’, ormai giunto a termine, ( si può vedere cliccando qui) era quello di recuperare all’attenzione un genere di poesia che accanto alla creativa riflessione psicologica, filosofica, morale di natura individuale e intima più tipica della poesia lirica trovasse spazio quella storica, sociale, antropologica, sinanco scientifica, cioè in definitiva civile e politica.

C’entra la poesia epica? Non quella nota. Né quella di Omero, né quella di Ariosto, né quella degli eroi galattici. L’eccezione, inutile dirlo è Dante, maestro di epica lirica. Ma tutto il resto è un mondo arcaico. Anche se è vero che le propaggini, e non solo propriamente quelle, del mondo patriarcale antico arrivano fino a noi.

Zeus fulmina gl’infedeli e stupra ogni giovinetto e giovinetta che incontra, mentre Giunone, votata alla fedeltà, si vendica appena può sugli/lle amanti e figl* di lui. Una normale vita di famiglia patriarcale divina, da cui discendono noti effetti tra umani: sistemi appassionati di competizione, guerre, distruzione, fino al totale consumo dei viventi e dell’inorganico. Il tutto oggi sotto le regole di ferro del neocapitalismo liberale all’insegna di servitù e signorie.

In questo quadro per molti versi drammatico, nel quale le poesie si mettono tra loro in febbrile ricerca di una precisa identità, noi ci collochiamo, verosimilmente, per usare un’espressione di Pier Giorgio Bellocchio, ‘al di sotto della mischia’. Un po’ anche per evitare quello che Walter Benjamin chiama il ‘chiacchiericcio sulle cose vere’ di cui i social sono piuttosto responsabili.

Al di sotto dunque dei generi poetici (coi loro presunti canoni) e anche della parola non sessuata (il maschile considerato neutro universale), ma con ragioni buone: a noi sembra infatti che comunque poesie e autori e autrici e pubblico delle poesie stanno mutando, stanno trasformando toni e accordi, fiati e archi, modanature e nodi, chiavi di volta e perni e nessi in molteplici stringhe di mondi paralleli per ora poco visibili.

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