martedì 28 febbraio 2012

Quando Odisseo, tornato a Itaca, compie la sua strage, si arresta solo davanti al poeta, al cantore, l'aedo che lo supplica di risparmiarlo. Gli dice risparmiami, abbi pietà, tu avrai rimorso un giorno se uccidi il cantore perché "io canto per gli dei e per gli uomini". E continua dicendogli che lui l'arte l'ha imparata da solo ma che un dio gli ha ispirato in cuore tutti i canti: "non tagliarmi la testa, io canterò davanti a te come davanti a un dio".
Odisseo si ferma, anche perché Telemaco gli conferma che l'aedo è stato sempre costretto a cantare.
Cosa ha cantato? Cosa ha cantato che potesse tenere lontano un giudizio di connivenza criminale con i proci? Qualsiasi cosa abbia cantato non entra a quanto pare in questione, Odisseo lo risparmia perché ha cantato sotto costrizione, poi che abbia cantato la guerra di Troia o quant'altro non ha importanza. Il poeta è libero di cantare quello che vuole e se canta in catene per un principe odioso e crudele non va considerato suo complice (ai complici veri ben altra sorte è riservata, le dodici ancelle che si sono concesse ai proci le fa impiccare tutte da Telemaco, al servo Melanzio gli fa tagliare nell'ordine naso, orecchie, genitali, mani e piedi).
Il poeta costretto a cantare è innocente. La poesia è innocente? 
Omero non ha dubbi. L'autonomia della poesia è un dato 'naturale', uno statuto? Il poeta canta per gli uomini e gli dei e tanto basti. Con il suo canto li intrattiene, li consola, li distrae, li emoziona, li fa riflettere.
Il poeta, la poeta non cantano per se stessi, cantano per gli dei, per le dee, per gli uomini, per le donne.

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