martedì 21 febbraio 2012

L'amico G. contesta le recensioni. 'Aggiungono' troppo! Stravedono, cose che l'autore non si è mai sognato di voler dire!
Le cattive recensioni credo siano proprio così. Ma allora sono esercitazioni letterarie i cui scopi stanno nella mente dell'autore. Ci si accorge che sono esercitazioni se non danno emozioni. Perché una buona recensione dà emozioni come una buona poesia, insomma ci si deve sentire il sangue e il corpo dell'autore. Ma in questo caso il critico lettore viaggia per conto suo, segue il flusso delle sue emozioni conseguente all'impatto con i versi letti. Aprirà su sentieri che non appartengono più all'autore. Perché il testo poetico, come dice Bachtin, una volta dato alle stampe diventa nel corso degli anni anche tutto quello che è stato detto su di esso. Dante stupirebbe enormemente di tutto ciò che in sette secoli i lettori sono riusciti a vedere dentro la Commedia!
Città alta, che sta nel post precedente, ha ricevuto all'uscita diverse recensioni.
Una di queste è di Roberto Caracci, lettore attento e sensibile. Nelle serate a casa sua, nel Salotto Caracci appunto, presenta l'autore, lo fa parlare e poi ci scrive sopra una scheda critica, 'aggiunge' cioè un po' di sé al testo poetico (o filosofico o altro, dipende dall'invitato).


5 nov. 2003

Amici salottieri, vi mando qualche riflessione sul libro di Rabissi presentato nel 'denso' incontro di ieri 4 novembre.
R.C

Appunti su “Città alta”, di P.Rabissi

1)      L’ORIZZONTE IN ESPANSIONE
Le ‘fughe’ aprono a orizzonti di spazio sempre più vasti, dilatati, dal vicino al lontano, proprio come lo sguardo di un bambino che comincia pian piano ad allontanarsi dalla sua casa di origine, a svezzarsi dal nido, a camminare pieno di esitazioni, ma anche di meraviglie e di stupori

2)EPIFANIE E AGNIZIONI
E infatti qui tutto è dominato da un’aura di scoperta, una dimensione epifanica, dove in uno spazio metafisicamente minimalista tutto appare come piccolo prodigio, rivelazione, agnizione
 

3)      LO SPAZIO AMPLIFICATO DELL’INFANZIA

E allora gli occhi di questo bambino che scivola rapidamente verso la maturità, che è già adulto e lo diventa sempre di più man mano che scende da questa Trieste alta verso il mare, vedono le cose più grandi di quello che sono, amplificate e enfatizzate, come in una dimensione di fiaba quotidiana, dove anche i ‘topi sono ‘grossi come gatti’
,la casa dei ‘malati di mente ha qualcosa di inquietante e il cane che ti annusa negli occhi è ‘monumentale’(forse addestrato ‘a fare la spia’).


4)      VERSO IL NITORE DEL MITO
Il passato si fonde con il presente, quel viaggio del bambino fuori dalla sua porta di casa viene ricalcato dai passi dell’adulto. La realtà è ancora lì, la ‘stessa trattoria’
sulla strada e quel ricordo della ‘donna che urla’ uscendo contro il marito ubriacone, un quadro effimero che ha già la nitidezza immobile del mito.
 

5)BAMBINO E ADULTO, DALLA CITTA’ ALTA AL MARE
 E lo sguardo che scende verso il mare (è uno sguardo che viaggia) dilata i suoi orizzonti, arriva al porto, sotto la città alta, dove si ‘accendono risse/col
mare alle spalle”, ma risale anche verso lo spazio alto delle giostre coi sedili volanti- col rischio che quel volo possa risultare fatale per un bimbo, come è accaduto. Dalla discesa al mare si risale verso la città alta e viceversa: non è il doppio cammino del bambino che diventa adulto e dell’adulto che ritorna bambino?
 

6)PRESENTE E PASSATO
Si oscilla fra presente e imperfetto narrativo, ciò che è era e ciò che era è.  La strada scende, la strada ‘scendeva’.
La città è sempre la stessa, ma il tempo ha scavato dentro la vita e i tempi verbali intervengono lì a ricordarlo
 

7)IL BIVIO E LA FRONTIERA
Poi nel cammino di un ragazzo, come nella vita, si arriva sempre finanzi a un bivio, anche qui c’è una strada che scende verso il mare e il rischio di un quartiere assolato che ‘non era sicuro”,
e a destra la casa dei matti: ma poi, ancora più oltre l’invalicabile ‘frontiera’ che per un bambino rappresenta le Colonne d’Ercole della sua fuggitiva avventura.
 

8)IL GIARDINO CHE NON C’E’ Più
E quel giardino che ‘non c’è più’ è il giardino della casa dei matti, dove ‘si
sente lo stesso grido soffocato’ o quello dell’infanzia finita, dell’eden perduto e soffocato dal tempo, come il singhiozzo che resta in gola? E le ‘corde vocali che non reggono ancora lo sforzo’, sono quelle del matto che non ha più la forza  di urlare come prima o della “poesia” che malgrado il tempo ha questa forza ancora un po’ strangolata di rievocare le immagini di un mondo finito?
 

9)MOSAICO IMPRESSIONISTICO
Il linguaggio è rotto, spezzato, fatto di frasi concise, brevi, segmenti di discorso frantumato. Tra un segmento e l’altro il silenzio della discontinuità.
Impressioni e pennellate che formano piccoli mosaici carichi di suggestione.
 

10)LAMINE DELLE IMMAGINI
Questo impressionismo fatto di lamine plurime e frastagliate, sbalzate dentro il quadro di una spazio-temporalità di modalità quasi cubistica, si conferma nei ‘Paesaggi’ della seconda sezione, con i cani del ‘Parco Ravizza’
che ‘si stampano nei fiati’ e le ali che ‘lampeggiano…sulle antenne paraboliche’, o l’inverno del cavalcavia di ‘Piazza Corvetto che ‘abbrevia la luce’


11)LA SALVEZZA DELLO SGUARDO FIABESCO
E infine, la cucitura fra la prima sezione, “Fughe”
e la seconda, “Paesaggi”: fra il mondo dilatato e in espansione dell’infanzia (la strada che dalla casa va verso il mare e risale alla città alta), e quello contratto e grigio del mondo urbano adulto, con cavalcavia e claxon che spezzano l’incanto. La cucitura potrebbe riassumersi in una parola che ricorre nell’ultima parte del volume, ‘fiaba’, o ‘favola’. L’adulto che non è più bambino ma che forse ha ancora lo sguardo del bambino, quando la realtà glielo consente, non rinuncia al suo ‘sguardo caparbio di fiabe’. La realtà è mutata, ma nel cambio dei ‘fondali’ della scenografia urbana- come quello determinato dal cavalcavia di piazzale Corvetto –rimane dentro lo stesso desiderio di favola, o di ricreazione fabulistica, a salvarci: e dunque la libertà di ‘fuga’ verso il mare o la ‘Città alta’.


Roberto Caracci

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