venerdì 20 gennaio 2012

Poema, poemetto...

Come si fa a chiamare poema una composizione che alla fine, prevedo, sarà complessivamente di circa quattrocento versi?
Poemetto dà giustizia di questa brevità, rispetto ai classici poemi di più di diecimila versi, però il diminutivo suona in effetti come una diminutio. 
Poemetto ha dalla sua una tradizione. Tra tutte quella pascoliana. Primi poemetti, Nuovi poemetti. Siamo ai primi del Novecento. E quindi sarà poemetto.

Dice Romano Luperini:
All’aggressività e alla negatività della società di massa, Pascoli contrappone i miti della bontà naturale e della poesia. La bontà naturale si esprime nella vita umile e semplice del mondo contadino, cantato con un’adesione priva di problematicità e ignara di contraddizioni e di conflitti. La poesia è il rifugio dei valori cancellati dalla società industriale, un risarcimento per il perduto rapporto solidale con la realtà semplice della campagna. D’altra parte anche nei Poemetti, il fascino naturale sembra spesso alludere alla minaccia di morte e di rovina e forse ancora più rilevanti divengono il dolore e l’inquietudine misteriosa che accompagnano la vita umana. Lo spazio occupato dai temi della decadenza, della corruzione e della morte fa dei Poemetti la raccolta pascoliana più vicina al Decadentismo europeo, anche per la denuncia implicita dei limiti della civiltà moderna».


E Mario Tropea:
La linea generale su cui si svolgono, indicata dallo stesso poeta in una lettera al pittore A. De Witt, è la seguente: “C’è del gran dolore e del gran mistero nel mondo; ma nella vita semplice e famigliare e nella contemplazione della natura, specialmente in campagna, c’è gran consolazione, la quale non basta a liberarci dall’immutabile destino” ( 28 maggio 1899)».


Società industriale di massa o società agricolo-pastorale, società moderna o postmoderna, società fordista o postfordista, nessuna, credo, sfugge al conflitto, alle guerre, civili e mondiali. Tra i popoli, le parti, le fazioni, le categorie, le classi, i generi. Nessuna delle forme in cui l'umanità si organizza può peraltro fare  a meno di desiderare e/o realizzare il contrario. La pace, la serenità, l'armonia. L'arte è specchio di questa doppia tensione dell'umanità. Quella che distrugge e quella che crea. Quella che crea strumenti distruttivi, quella che distrugge persone e opere. Quella che crea opere di bellezza o forme di distrazione e consolazione. La poesia non può sfuggire a tutto ciò. E' specchio del conflitto, è opera di consolazione.
Questo poemetto consta al momento di tre parti (ne prevedo una quarta): un prologo (nei poemi classici il proemio) intitolato 'Indicazioni', una seconda parte intitolata 'La solitudine di Schenk', una terza parte intitolata 'La nostalgia di Orlando'.




Indicazioni
  
    …a ben vedere non c’erano obblighi
solo inviti, indicazioni di percorso.
Eppure qualcuno si sentiva addosso
un destino, come una condanna.
Si interrogavano i più, segno
che la questione importava,
se la libertà nel cammino era totale.
I giovani, usciti dal liceo,
ne parlavano per strada
tra un semaforo rosso e l’altro

    quel trattato di Pisacane,
Saggio sulla rivoluzione,
faceva mostra di sé
sulla bancarella di libri usati.
L’edizione era vecchia, ma la copertina
di colore grigio topo,
aveva resistito bene all’usura

    quei due ragazzi visti controluce sulla darsena
avevano movenze da danzatori
si contendevano tra i piedi un sasso
finché uno dei due di esterno destro
lo infilò dritto nel tombino

    la cappella situata nei pressi della scuola
ospitava qualche studente solitario
la sua preghiera mattutina era muta
la volta a crociera lo avvolgeva invece con calore

    chiamava alla responsabilità personale
verso il sacro con ferma virilità.
Chi avvertiva in sé l’imminente perdita
ne restava intimorito.
Nella memoria quella virilità non fu intaccata,
l’insegnante di religione, come poi si seppe,
era stato invece allontanato a divinis.



La solitudine di Schenk 

Per fissare i rinvii della memoria
è utile il disegno di una mappa.
In quel territorio s’intrecciano tuttora
sentimenti e progetti. Più a Nord rispetto
ai due campi, è certo,
turchi, greci, spagnoli, italiani abitano
periferie chiassose dove le risse scoppiano
frequenti.           

A Sud i due campi contigui sono separati
da una fitta rete di ferro.
Gli abitanti del campo a Nord,
per entrare in quello a Sud, devono possedere
un pass, il più delle volte non serve,
i volti infatti sono quasi sempre gli stessi.
Stagionali e avventizi sono rari
ma forse è la memoria che immobilizza
lo scenario.

Dieter sciancato, rifugiato dall’Est, parla inglese,
è convinto che la libertà assoluta non esiste
“…ma voglio essere libero di scegliere
le mie schiavitù, you see?”.           
A est del campo, lasciando correre lo sguardo
lungo la pianura fino all’orizzonte,
tutto appare deserto, è non conosciuto.

Qualcuno potrebbe dire che qui
l’unica religione è il lavoro.
Sul permesso di lavoro, controfirmato da un
religioso, deve comparire la religione professata.
Con qualche insistenza si riesce infine  a ottenere,
evitando il balzello, la scritta keine religion.

Tra versi petrarcheschi e ragazze Carla
le indicazioni non abbondavano,
tra erbe e rami fioriti e tic tac di macchina da scrivere
si poteva imboccare un sentiero poco noto,
forse una scorciatoia oppure il contrario.
A Ovest  i bassi casamenti sono depositi
per ricambi di lenzuola, coperte
e qualche altro comfort. Non lesinano
nella distribuzione anzi invitano a una cadenza
settimanale, per non trascurare l’igiene.


La memoria ha fissato un tempo duraturo,
un inverno inoltrato, un principio d’estate, un sole a tratti,
un verdeggiare fresco e sul piazzale delle passioni
al cambio di turno l’incontro regolare con Schenk
- Wunderschön, ah?
- Wunderbar…
Alla cava vicina lo spettacolo è assicurato, corpi
al sole, trasparenze.

Dieter passeggia conversevole trascinando il suo piede,
indica due caccia americani che sfrecciano nel cielo,
ricorda la sua fuga nel bagagliaio.
Forse è per questo che frequenta il vicino aerodromo
per alianti. Quando è in alto e il suo apparecchio si sgancia
dice che urla per la libertà e la bellezza.
A leggergli versi in italiano si lascia cullare,
non capisce, gli piace la musica che faccio.

Sicuramente la memoria ha fissato da tempo
la mappa dei luoghi, degli incontri.
Bastava solo ridarle occasione,
questa storia, ma verrebbe da pensare ogni storia, 
scritta era scritta da tempo,  
bastava trascrivere il tutto come sotto dettatura.

Al cambio di turno nei pressi del cancello minore
la solitudine di Schenk si staglia ogni giorno,
non è tanto la sua notevole altezza, la magrezza
ma l’impronta dello sconfitto dalla vita.
-Tu studi la Storia, non ne caverai niente.
Da tremila anni è bloccata, è sempre la stessa.
Sarai solo anche tu.
Quando esce dal suo casamento nella rientranza
della sua finestra accomoda terra e acqua
nel piccolo vaso dove a volte
fiorisce un fiore rossastro.

L’entrata è dal Main Gate, situato a Est,
chiedono il pass solo la sera al rientro
da scorribande notturne nei quartieri a Nord,
veri e propri dormitori, attrezzati con qualche verde
e di presidi sanitari dove s’incontrano mogli
e madri turche, italiane, greche, spagnole
con i figlioli vocianti. L’intreccio delle lingue
le fa esplodere tutte in risate concilianti.
L’entrata nel campo è dal Main Gate dove
talvolta sostano due cani pastori tedeschi.
Si tratta solo di una coreografia di qualche
malizia, il conduttore dei cani chiede il saldo
di un debito dimenticato.

Schenk non commette errori, quando esce
punta diritto verso il sentiero in terra battuta
e lo segue. Non vigila su nulla e per l’habitat
non è possibile distrarsi per alcunché
- il verso è una misura d’uomo, non più in là
di tanto né meno, un equilibrio interiore.
Il suo passo sottile, come una lametta
incide il sentiero in silenzio
- a volte inseguo il pensiero e non trovo
la parola. Se qualcuno è vicino a te puoi
chiederla a lui, la prima che dice.



La nostalgia di Orlando

La carta geografica segnala confini,
fiumi, laghi, lo sguardo forza la memoria
penetra in basso fino al reticolo di strade,
vede parchi sotto la neve, il Reno
che lima le sponde, sente stridere i gabbiani.
La neve sulle guglie del Duomo
di Colonia vela marmi tagliati
in stile italiano.
Nella neve di febbraio la sosta all'interno
è su note di Johann Sebastian Bach.

La cattedrale, salva per caso, di Colonia distrutta.
La lunga pace infittisce il sottobosco,
i parchi cittadini ricchi di acque. Hohe strasse,
l'arteria principale, di sabato invasa da proletari.
Al cinema danno 'Accattone' di Pier Paolo Pasolini.
Hans figlio di operai studia legge,
ha nostalgia di un passato che non conosce,
dice di averne memoria.
La Storia per lui è un eterno presente.

I giovani cercano senso, fanno
ipotesi sul mondo, sfrondano il mistero.
Percorrono continenti, negli hub si salutano
si scambiano mappe, lasciano indizi.
Raccolgono l'oro lasciato dalla Storia.
La natura è stupida e feroce, dice Peter l'australiano,
otto milioni di uova per fare un salmone,
occhio al ragno saltatore, si solleva
fino all'altezza degli occhi e lì colpisce.
Peter dice di non fidarsi,
invita alla ricerca, chiude il libro dei tuoi versi.

La memoria si attarda su spazi pieni
incurante che il vuoto e il nulla
sono solo apparenti. La rete invisibile
delle passioni tiene in tensione i due campi.
Anche a sera quando la cantina è deserta.
L'alcool sgrava dalla solitudine
che il juke box non addomestica.
I dormitori sono tutti al buio,
solo i due cuochi amanti
rompono a tratti il silenzio.

Gli spazi vuoti segnalano forme invisibili.
Il filo di ferro della rete che separa i due campi,
spesso e rugginoso, intreccia rombi,
nella pioggia sono occhi luccicanti.
A rientrare a sera i dormitori sono ombre distese.
Gli spazi vuoti fra di loro sono terra di nessuno,
è una geometria, è familiare.

***

Miss Tennent comanda la mensa autorevole,
una dozzina di serventi, tre cuochi.
Assaggia alle sette il the di giornata
se le piace fa felice lo chef dagli occhi azzurri.
- You've got fine pants, today! dice al giovane
italiano vestito da festa. Distribuisce compiti,
sorveglia le porzioni del lunch, ti guarda.
A sera, nel quartiere lungo il fiume, ragazzi
le danno piacere per poco.

Per le strade del campo inglese il percorso
è obbligato, Orlando non commette errori
- il destino non è stato cattivo, è già tanto
che non sono in galera -. Disegna col furgone
un arco da Ovest a Est, dal magazzino
alla mensa, andata e ritorno con pausa the.
Il sottoufficiale si dondola sui piedi proprio
sull'entrata: I'll be washing my hands, I think.
Sul furgone l'aiutante di Orlando carica food
and meat, burro, the, patate, il burro è salato
a Orlando non piace, fa solo un po' di cresta
al vassoio della carne.
All'entrata della mensa afferra con l'uncino
i sacchi di patate, li trascina all'interno, si annuncia
cantando in falsetto anema e core.
Talvolta insegue miss Tennent nei corridoi.


In ricorrenza di festività o di vittorie ignote
ai più, l'ufficiale scozzese con kilt e cornamusa
batte un perimetro quadrato immaginario,
tiene il passo cadenzato come fosse in battaglia,
alterna a brevi intervalli un grido di comando
poi torna a soffiare nello strumento.
Da Ovest un sole di ghisa illumina il campo.
Tutti concordano sul termine dell'esibizione
a tramonto inoltrato.


Orlando non ha nostalgie. Napoli è solo
un'alzata di spalle, uno sguardo rivolto altrove,
come lontano dal cuore l'amore senza occhi.
Rammenta le strade in Renania Westfalia,
dopoguerra, casalinghe indaffarate,
uomini in fabbrica a produrre per il boom.
Orlando alle undici del mattino, alle tre
del pomeriggio, chiama le donne per strada,
vende ritagli di stoffa italiana come fosse
americana indistruttibile - per questo hanno vinto
la guerra - sparge alcol non visto, dà fuoco
con lo zippo, spegne col pollice prima che l’alcol finisca.
La seduzione non finisce mai. Orlando
amandole tutte semina tracce di sé, ich liebe dich,
tempi gloriosi di maschio italiano.

Irrompe sul piazzale delle passioni,
la squadra di operai non tende un agguato,
colpiscono al corpo risparmiano il viso,
il giovane sardo che ama la greca
incassa in silenzio si affloscia nell'erba.
La squadra di greci addetta al montaggio,
in fabbrica strappa comando ai suoi capi
difende il salario nel ritmo pattuito
della catena – solo a chi è stanco sfugge
il ritmo accelerato senza maggiore compenso –,
qui, sul piazzale, la squadra difende l’antico diritto
dell’uso patriarcale, il possesso del corpo
e del cuore delle donne.

Se nostalgia lo preme Orlando ti porta in città,
nella latteria italiana che apre sul retro
stanze riservate. Lo salutano con deferenza
ma si vede che il posto migliore è destinato
ad altri, al boss in tweed, col solitario al mignolo.
Racconta di sé. Ma è la mano a disegnare
nell'aria tempi inenarrabili a parole.
Di regine di strada. Di battute di caccia.
Indica i pezzi grossi mano a mano che entrano,
resta in silenzio, abbassa la voce - quando
torni in Italia ti dico io da chi andare,
gli fai due piaceri e ti sistemi -.



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