giovedì 6 giugno 2024

A proposito di epidemie. 'Sulla stupidità', rilettura della conferenza di Robert Musil alla Lega austriaca del lavoro del 1937

“Ciascuno di noi dovrebbe certamente stanarla innanzitutto in se stesso; non aspettare di riconoscerla dalle sue grandi epidemie storiche...”, così Robert Musil, nella sua conferenza tenuta a Vienna l’11 e il 17 marzo 1937, su invito della Lega austriaca del Lavoro, col titolo: Sulla stupidità [1].
Inutile essere o meno d’accordo con il dovere di stanare la stupidità anzitutto in se stessi (così come voglio evitare di interrogarmi troppo sul motivo per cui il libro ha preso improvvisamente a occhieggiare da uno scaffale alto), a me sembra che la seconda parte della frase crei un problema ben più importante.
Musil premette con prudenza di essere consapevole che l’iniziativa di parlare della stupidità potrebbe anche essere interpretata come presunzione ma poi sembra più deciso a richiamare a una vera posta in gioco: non si può aspettare di veder dilagare la stupidità come una epidemia, occorre riconoscerne da subito questa potenzialità partendo da quella che alligna in noi stessi.
A quale scopo? Cosa sottintende Musil? Non viene forse da domandarsi da dove gli proviene l’urgenza di avvisare pacificamente i suoi concittadini che quanto stanno vedendo intorno a sé di stupido è già sufficientemente diffuso da essere ormai quasi un’epidemia?

Essendo il nostro potere e il nostro sapere di umani limitati, argomenta lo scrittore, siamo di fatto costretti a dare giudizi precipitosi, imprecisi, anche nelle scienze, anche se la pratica ci ha insegnato a contenere questo errore e magari anche a correggerlo con un esercizio di umiltà. Perché non è poi così semplice individuare e marchiare la stupidità.
Ecco allora una prima conclusione possibile: “...Questo è uno dei punti importanti: oggi le condizioni della vita sono tali – così complesse, difficili e confuse – che le stupidità occasionali dei singoli possono diventare facilmente stupidità costituzionale della collettività.”
E quando ciò avviene siamo allora ormai dentro una di quelle grandi e temibili ‘epidemie storiche’.

Cosa succede a Vienna, nelle sue strade, nei giorni della conferenza dello scrittore?

Vienna e l’intera Austria non sono ormai più in grado di opporsi alle pressioni della Germania nazista volte all’annessione. Isolata in Europa anche a causa dell’avvicinamento tra Italia fascista e Germania, abbandonata alla sua sorte, mancano pochi mesi all’Anschluss, che vedrà le truppe tedesche sfilare per Vienna. Come Musil possa aver vissuto quel periodo possiamo immaginarlo. Quando nel ’33 Hitler aveva preso il potere a Berlino lo scrittore aveva abbandonato la città con la moglie Martha, di origine ebraica, per Vienna. Nel marzo del ’38 all’arrivo dei tedeschi riuscirà da lì a fuggire attraverso l’Italia verso la Svizzera, dove morirà qualche anno dopo.

Il saggio Sulla stupidità travalica questi avvenimenti. Infatti, parla comunque anche a noi oggi. Ma con la scrittura di Musil ci si trova sempre bene. Lo ascolteresti come una voce familiare per un tempo indefinito, magari perdendo proprio il tempo reale della vita intorno. Così a leggere L’uomo senza qualità. In questo saggio però sembra arrivare in qualche modo un turbamento, una preoccupazione (che non è sicuramente quella che a Ulrich procura l'inquieta sorella Agathe!) che spinge alla prudenza del dire.
Anzitutto lo scrittore ci invita alla modestia come metodo di avvicinamento alla questione, perché, ci spiega, a guardare bene, siamo tutti un po’ stupidi: “come poeta - ci tiene a precisare - la stupidità è una mia vecchia conoscenza”, e ribadisce poco dopo “del resto colui che di solito chiamiamo ‘un bello spirito ’ è al tempo stesso ‘un bello stupido’".  Poi per convincerti articola in numerosi percorsi il suo messaggio fin dentro la psicologia, la psicanalisi, la sociologia, la linguistica, la poesia appunto... ma confessando di sé sin dall’inizio che di fronte alla stupidità: “...sono in posizione d’inferiorità, perché non so cosa sia. Non ho scoperto nessuna teoria della stupidità con cui accingermi a salvare il mondo”.

Certo non può fare a meno di punzecchiare e smascherare quanti non si tirano indietro dal dichiarare con presunzione la propria intelligenza! Soprattutto coloro che sono impegnati nella sfera pubblica, quelli che parlano come massa, che adoperano ‘noi’ per dire ‘io’.
“Anche l'uomo che agisce nella storia dice o fa dire di sé, non appena ne hai il potere, che egli è intelligente, ispirato, degno, sublime, misericordioso, eletto da Dio e chiamato a segnare nella storia un'orma incommensurabile [...]. Una sorta di ceto medio-basso dello spirito e dell’anima... si abbandona del tutto spudoratamente al proprio bisogno di presunzione, non appena può farsi avanti dietro l’usbergo del partito, della nazione, della setta o della tendenza artistica e può dire ‘noi’ invece di ‘io’.”.

Anche l’usbergo della ‘tendenza artistica’! Che poi, detto per inciso mio, la ‘tendenza artistica’ spesso coincide con quella dell’‘io’. Ma Musil in questo caso è anche più feroce, là dove la stupidità gli risulta in qualche modo legata alla genialità: “Il divieto di parlare molto, e in particolare di parlare molto di sé, sotto pena di passare da stupidi, viene aggirato dall’umanità con un espediente del tutto particolare: per mezzo del poeta. Il poeta ha il permesso di raccontare a nome dell’umanità che il pranzo è stato di suo gusto, oppure che fuori c’è il sole; può svelare i moti del suo animo, propalare segreti, fare confessioni; può rendere conto di tutto se stesso senza riguardi... In questo modo l’umanità parla ininterrottamente di se stessa! Con l’aiuto del poeta, essa ha già raccontato un milione di volte le stesse storie e le stesse esperienze... Non dovremmo insinuare il sospetto che anche l’umanità sia stupida, alla fin fine, per l’uso che fa della sua poesia e per il modo con cui la poesia stessa si adatta a tale uso?”[2]

Qui a me verrebbe da chiosare. Sono convinto che Musil adopera poeta anche per dire poeta donna, ma oggi non posso fare a meno di chiedermi se davvero non aveva in mente solo una folla di poeti maschi! In ogni caso Musil anticipa qui termini di un dibattito tuttora vivo nella comunità (absit iniuria verbo!) italiana di poeti e poete. Ma proprio parlando di poesia e linguaggio Musil si espone e ci suggerisce qualche carattere della stupidità: l’ingenuità eccessiva, la sostituzione di idee complesse con una storia molto semplice, una narrazione con elementi superflui, circostanze accessorie oppure ornamentali...[3]

Ma queste sono solo premesse. Poi Musil affonda l’analisi. Bisogna saper distinguere tra stupidità ‘occasionale’ e stupidità ‘costante’, tra errore e dissennatezza.
La parola stupidità secondo Musil abbraccia due dimensioni in sostanza assai diverse: esiste a suo parere una stupidità onesta e schietta e una stupidità che, un po’ paradossalmente, è addirittura un segno di intelligenza. Quest’ultima è di gran lunga la più pericolosa!
“La stupidità onesta è un po’ dura di comprendonio. È, come si dice, lenta a capire. È povera di idee e di parole e maldestra nel loro uso. Predilige le cose abituali, perché, ripetendosi spesso, si imprimono saldamente nella sua memoria, e lei, quando ha afferrato qualcosa, non ha molta voglia di farsela portar via troppo in fretta o di lasciare che qualcuno la analizzi; e neppure di mettersi a sottilizzarci su lei stessa... In compenso si attiene di preferenza a ciò che può sperimentare attraverso i sensi, a ciò che può, per così dire, contare sulle dita... E se talvolta non fosse così credulona, così pasticciona e al tempo stesso così incorreggibile da ridurti quasi alla disperazione, sarebbe proprio una figura simpatica.”[4]
I problemi veri cominciano dunque col secondo tipo di stupidità, quella ‘sostenuta’ e piena di pretese.
“Quest'ultima non è vera mancanza di intelligenza. È piuttosto un fallimento dell'intelligenza che si è arrogata dei compiti che non erano i suoi...[...]... questa stupidità sostenuta è la vera malattia della cultura (affrontiamo subito un malinteso possibile: essa significa incultura, falsa cultura, cultura che si è costituita su false basi, sproporzione fra il contenuto e il vigore della cultura).
Descrivere questa stupidità sostenuta è impresa quasi senza fine. Essa tocca i più alti valori dello spirito... la stupidità intelligente contribuisce a vivacizzare la vita spirituale soprattutto nel senso che la rende incostante e sterile.”[5]
Cos’altro aggiungere? sembra chiedersi Musil. Ricorre persino a una autocitazione di uno scritto di un anno prima: “Ho già scritto qualche tempo fa che non c'è pensiero importante che la stupidità non sappia utilizzare. La stupidità è mobile in tutte le direzioni e può indossare tutte le vesti della verità, la verità invece ha una sola veste e una sola via ed è sempre in svantaggio, ...la stupidità alla quale mi riferisco non è una malattia mentale, eppure è la più letale delle malattie dello spirito: è una malattia pericolosa per la vita stessa”.

Che Musil stesse in questa occasione, con il suo interloquire problematico (che a torto attribuiresti alla sua ben nota ironia) tentando di convincere prudentemente i suoi ascoltatori a aprire gli occhi sulla stupidità tragica che stava intorno a loro (ripeto, mancano pochi mesi all'Anschluss, all'arrivo dell'austriaco cancelliere del Reich e Fürer della Germania) non è in realtà una inferenza del tutto personale. La critica più recente si è lasciata alle spalle la versione di un Musil ‘impolitico’ che era stata alimentata nei primi decenni dopo la sua morte. [Il link al quale rimando in nota indirizza alla maggior parte dei commenti e recensioni che appunto smentiscono quella lettura[6]. Mi basta qui ricordare che nell’estate del ‘35 Musil aveva tenuto un discorso pubblico a Parigi, al “Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura” organizzato in gran parte da comunisti francesi e tedeschi, nella quale, davanti ad una platea che in gran parte simpatizzava con l’Unione Sovietica, parlò di due “forme di governo fortemente autoritari, il bolscevismo e il fascismo”].

Che poi qualcuno dei lettori di oggi in quelle riflessioni possa vederci un invito a stanare in sé la stupidità per poterla meglio riconoscere nei comportamenti di massa dell’era di Internet, credo sia legittimo ancorché non propriamente facile. La stupidità di oggi a mio parere è molto più sottile, rarefatta e tuttavia impregnante permeante saturante, tanto quanto asciuga e svuota, rispetto ai tempi di Musil.

Ma alcune circostanze di qualche lontana somiglianza e analogia sembrerebbero quanto meno invitarci a accelerare i tempi per marcare la differenza tra le nostre stupidità ‘simpatiche’ e quelle letali. Prima che quest’ultime abbiano la meglio sulle specie sostenibili.

 

 


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[1] Robert Musil, Sulla stupidità e altri scritti, Oscar Mondadori, 1992

[2] Cit. pag.244-5

[3] Cit. pag. 257

[4] Cit. pag. 255

[5] Cit. pag. 257

[6] Scrivere nella scheda di ricerca sul browser: "Musil e il nazismo". Si apre una schermata che rimanda a documenti critici sempre interessanti.

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