imparando a muovermi come nello Zibaldone di Leopardi, non in cerca di una sistematicità di pensiero e teorie ma spunti e aperture che riguardano il modo di leggere la Storia e paradossalmente, ma mica tanto per me, anche stimoli al discorso poetico. Soprattutto per quella prudenza estrema che Benjamin suggeriva nel lavoro di interpretazione dei fatti storici, per quella sua nozione di storia come montaggio, per la consapevolezza dei limiti dell'espressione linguistica (sulla quale mi sono soffermato nel post del 21 gennaio dal titolo
Da poco è uscita per Einaudi una biografia imponente di 700 pagine: Walter Benjamin, A critical life, di Howard Eiland e Michael W. Jemmings, se ne trova una recensione su Doppiozero a questo indirizzo http://www.doppiozero.com/materiali/recensioni/walter-benjamin-critical-life
C'è un saggio in particolare scritto da uno studioso americano che ha il merito di sintetizzare molto, cosa meritevole di attenzione, ne riporto qui la pagina conclusiva.
Thomas Peterson
La storia come montaggio in Benjamin
VI. Conclusione
Sono stati in molti ad etichettare Benjamin come autore contraddittorio o paradossale. Certamente il suo pensiero non sta tranquillo dentro i contorni di una singola disciplina o terminologia specialistica, come la fenomenologia o l'idealismo, il marxismo o lo storicismo. Benjamin non conia una sua dottrina. A dispetto del carattere prolifico della sua opera, si può dire che chiave del suo stile - rispecchiato nella calligrafia miniaturistica dei suoi manoscritti, stesi con estrema cura - è la reticenza e la modestia. Benjamin era consapevole di lavorare "sulle spalle di giganti" e evitava cautamente la sovrainterpretazione della storia. Era costantemente attento ai limiti della logica discorsiva: «È bene dare una conclusione smussata alle ricerche materialistiche» (PA 531). Similmente consigliava l'inclusione di "spazi bianchi' nella scrittura della storia a mo' di rappresentazione del non ancora saputo (nota in basso).
Anticipando la tarda modernità, Benjamin mette in pratica la nozione di storia come montaggio (la parola montage fu coniata solo nel 1929). La qualità eterarchica dei Passages - e non semplicemente la loro struttura slegata, dovuta all'incompletezza - è evidente nell'indeterminatezza epistemologica dell'incartamento N. Beneficiando dello studio delle fonti più varie - da Lotze a Bergson,
da Marx a Proust - Benjamin infonde nel pensiero materialistico dei criteri metafisici radicati nel suo studio teologico della lingua. Cercando e trovando una via di mezzo tra il soggetto e l'oggetto, e integrando letture letterarie e scientifiche, Beniamin stabilisce una forma di costruttivismo paragonabile_ semmai in campi disciplinari diversi - a quel costruttivismo che sarebbe stato formulato da Piaget.
Il suo pensiero condivide con la tradizione analitica - con Dewey, Whitehead e Wittgenstein - una consapevolezza dei limiti dell'espressione linguistica, un'epistemologia basata sui processi di mutazione, e una teoria del simbolo radicata nello studio delle percezioni. La sua fenomenologia della percezione anticipa quella di Merleau-Ponty, di sedici anni più giovane di lui. Precedendo l'avvento dei Cultural Studies in Gran Bretagna, Benjamin anticipa l'attivismo di quel movimento e il rilievo che esso dà alle diversità culturali. Infine riconosce il bisogno di rovesciare la storiografia lineare basata sul principio dell'energia a favore di una storiografia a mosaico basata sul principio della differenza.
nota:Si trova un riconoscimento simile nei Cantos dove Ezra Pound cita Confucio («Kung») sulla responsabilità dello storico - per il benessere della società - di lasciare lacune nel resoconto della storia. Si veda Ezra Pound, Selected Cantos (New York, New Directions, 1970), p. 22: And Kung said " Wan ruled with moderation, / In his day the State was well kept, / And even I can remember / A day when the historians left blanks in their writings, / I mean for things they didn't know, / But that time seems to be passing».
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