Seguendo le suggestioni venute da un pezzo teatrale dedicato alla poeta E. Dickinson ne ho letto quasi tutta l'opera.
Dickinson è e resta una poeta enigmatica e misteriosa, certo poco ottocentesca, qualcuno ne ha fatto addirittura un emblema del post-moderno. La natura complessa della sua scrittura è data dal suo rifiuto radicale di presentarsi come una 'persona' identificabile, procede per ellissi e omissioni di sé e la natura ha così grande parte solo in quanto habitat e territorio vicino ma non come fine. L'estrema radicalità di questa posizione è la stessa che la porta a sottrarsi al mondo delle relazioni per sondare solo dentro di sé l'effetto di essere semplicemente viva. E' quello che secondo me ognuno di noi potrebbe fare se a un certo punto del giorno non decidessimo di buttarcici dentro, cioè solo qualche secondo dopo esserci svegliati. Lei rinuncia al gioco - anche perché poteva permetterselo - e noi assistiamo allo spettacolo delle sue emozioni filtrate filtratissime e depurate da qualsiasi oscenità della cronaca. Un'operazione radicale che la potrebbe avvicinare al misticismo ma lei ne resta fuori. Un'operazione radicale che la potrebbe avvicinare all'intimismo ma lei ne resta fuori. Come dice una sua brava inteprete critica (B. Lanati) è come se lei invece di vivere restasse dietro le quinte o dietro uno spessore. Rinunciando a dare di sé un'immagine qualsiasi, in realtà parla continuamente di sé e noi continuiamo a chiederci chi è lei davvero. La cifra metalinguistica che diventa passo ironico e a volte beffardo è sempre elegante e tutto non fa che aumentare misteriosità ed enigma perché i tentativi nostri di interpretarla possono essere infiniti (e così è in effetti la montagna di letture critiche) e questo va tutto a credito di una idea di poesia che trascenda il visibile ma senza allontanarsene mai davvero. Occhi impigliati nelle nuvole, piedi per terra.
Verrebbe peraltro da chiedersi se la cifra stilistica adottata da Emily abbia, almeno in parte, favorito la scelta di isolarsi dal mondo, poco o tanto che sia nella realtà avvenuta, o se la scelta di isolamento abbia finito col riversarsi anche nella scrittura favorendo omissioni ed ellissi del sé. Anche questo è enigmatico, per me forse l'enigma cruciale, perché se è vero che la scrittura è quai sempre un tentativo di colmare un vuoto, una inadeguatezza, una mancanza, è anche vero che queste inadeguatezze e mancanze non sono sempre psicologiche o esistenziali ma spesso dovute anche a carenze di natura organica se non a vere e proprie malattie che rendono inadeguate e mancanti.
Verrebbe peraltro da chiedersi se la cifra stilistica adottata da Emily abbia, almeno in parte, favorito la scelta di isolarsi dal mondo, poco o tanto che sia nella realtà avvenuta, o se la scelta di isolamento abbia finito col riversarsi anche nella scrittura favorendo omissioni ed ellissi del sé. Anche questo è enigmatico, per me forse l'enigma cruciale, perché se è vero che la scrittura è quai sempre un tentativo di colmare un vuoto, una inadeguatezza, una mancanza, è anche vero che queste inadeguatezze e mancanze non sono sempre psicologiche o esistenziali ma spesso dovute anche a carenze di natura organica se non a vere e proprie malattie che rendono inadeguate e mancanti.
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