La nuova sistemazione della Pietà Rondinini al Castello sforzesco di Milano non è gran che. L'unica giustificazione convincente del trasferimento sta nella dichiarazione che quella precedente non era facilmente accessibile ai disabili, ma forse si poteva fare qualcosa in proposito. E' vero che la sala nella quale era ospitata dal '56 fino a oggi era dispersiva tuttavia ricordo che le sculture del rinascimento lombardo facevano esemplare introduzione all'opera di Michelangelo. Ad essa peraltro si accedeva dopo aver sceso pochi scalini e inoltre lo studio milanese che aveva avuto in commissione la sistemazione aveva avvolto la scultura dentro una parete semicircolare che aveva sì la funzione di isolare con ragione la statua ma contribuiva ad avvolgere una composizione che di suo avvolge due personaggi in un unico abbraccio circolare tanto che, a causa del 'non finito' dell'opera, non sembrano esistere un davanti e un di dietro come nella maggior parte delle statue. Maria e Gesù Cristo sembrano sostenersi a vicenda ciascuno dentro la propria sfinitezza del corpo, morto l'uno ma poco meno l'altra.
Nella nuova sistemazione è successo quanto non potevo aspettarmi. Non la vedevo da almeno trent'anni. Sparita la parete, sparito l'isolamento ad hoc mi sono ritrovato in faccia, entrando nella sala, il retro della statua: lo conoscevo bene, sapevo già che è fortemente incluso nella composizione, ma il disagio è stato forte. I giovani presenti hanno sicuramente superato meglio di me la faccenda e si sono seduti poi sul davanti nelle panchine di legno a osservare. Poi si sono dedicati, sempre di faccia, alle foto con relative pose di ciascuno/a. Poi si sono avvicinati ancora all'opera scrutandola da vicino. Infine hanno preso la strada dell'uscita. Hanno cioè interpretato alla lettera la sistemazione - per vedere la statua dobbiamo aggirarla - e quando sono entrati hanno subito realizzato per prima cosa che dovevano aggirare la statua per osservarla, è quello che hanno fatto, si sa che la parte più interessante sta davanti. Il problema sta in quel 'non finito' che sta sia davanti che dietro e rende appunto un po' meno identificabili del solito il davanti e il dietro. Nella vecchia sistemazione insomma veniva più spontaneo osservare e aggirare, osservare e spingere lo sguardo a scivolare sul dietro, a incorporare la statua in un unico abbraccio circolare.
Quando la sistemazione del '56 fu pronta e aperta al pubblico ero appena arrivato a Milano. Ma della coincidenza ho saputo solo stamattina quando sono andato al Castello, quando la vidi allora per me era lì da sempre e non sapevo nemmeno che quell'opera era stata comprata e trasportata dai milanesi dal palazzo dei Rondinini a Roma. E già, perché Michelangelo non era mica lombardo, e trascuriamo che era aretino o giù di lì, ma era di fatto trapiantato romano. Ma se uno guarda le statue del Giorno e della Notte a Firenze che sono così monumentali e grandiose e le paragona a quest'opera in cui la sfinitezza dei corpi esausti è tutt'uno con l'estrema sottigliezza e fragilità di quel marmo lavorato a quel modo non verrebbe da dire che in fondo si tratta di un'opera molto lombarda? Osservazione questa che in qualche modo debbo alla locandina di presentazione, nel senso che a me, provinciale che arrivavo a Milano allora vera metropoli italiana, che oggi non riesce a farsi ancora europea (anche se qualcosa sta cambiando) quella statua sembrò un vero e proprio biglietto da visita milanese e lombardo (che poi si alimentò coerentemente con la scoperta di Leonardo e Bramante operosi in città). Ma non ci siamo proprio se la città non riesce a dare una sistemazione geniale a Michelangelo lombardo.
Paolo, in poche parole, hanno trovato una sistemazione per il Rondanini che... fa pietà :)
RispondiEliminaAndrò a visionare al rientro delle vacanze.
Ci andrò anch'io e intanto mi vado a rilegger Duccio
RispondiEliminaCi andrò anch'io e intanto mi vado a rilegger Duccio
RispondiEliminaCosì mi scrive Fausta Squatriti:
RispondiEliminaCaro Paolo, ti avevo scritto una dettagliata risposta, alla tua critica sulla nuova sistemazione de La Pietà, ma poi non so come pubblicarlo, ed è andata persa, così te la riscrivo, sperando che tu sappia come pubblicarla, dando così il mio contributo al dibattito:
non son d'accordo con le critiche espresse da Paolo Rabissi. La vecchia sistemazione non mi era mai piaciuta, la nicchia in legno, più simile ad un paravento, non aveva, della nicchia, il significato simbolico, e cromaticamente nuoceva al biancore della statua. La comoda panchina, pure in legno, toglieva ulteriormente la sacralità, obbligava ad una visione quasi puramente frontale. In fondo, di fronte ad una Pietà, si può anche rimanere in piedi.
La nuova sistemazione ha il pregio di fare vedere la scultura dal suo dietro, in pochi comprendono che una scultura ha, appunto, un davanti e un dietro, e che se gli scultori avessero voluto non farlo vedere, il dietro, anche se spesso meno importante del davanti, avrebbero creato solo bassorilievi. Avvicinarsi alla Pietà Rondanini dal dietro, vedere la scultura fronteggiare uno spazio lungo, vuoto, antico, è una esperienza toccante, quando solo dopo avere conquistato lo spazio, ci si trova davanti alla scultura, nella sua sorprendente - semplicità - come sanno essere - semplici - solo i capolavori.
La mancanza della base antica, un reperto romano, se all'inizio mi ha sorpresa, dopo poco l'ho apprezzato. Il bassorilievo ornamentale del marmo romano, nuoceva alla purezza della Pietà, le toglieva parzialmente il peso straordinario delle gambe del Cristo morto, il peso del dolore della madre, che si fa nicchia, lei sì, al corpo del figlio, e precipita con lui, nel dolore che trascina in basso. Il bianco del marmo, pulito anni fa, troppo sbiancato, negli anni si è ammorbidito, e adesso, senza un contrasto con lo spazio circostante, anch'esso bianco e antico, interrotto da decori non violenti, patinati dal tempo, si lascia leggere in tutti i suoi passaggi, prodotti dai volumi della scultura.
La solitudine del dolore tra madre e figlio, diventa universale, diventa la solitudine del Umanità attraverso l'iconografia de La Pietà, si legge in questa sistemazione, dove lo spazio dell'aula lascia alla scena, il suo pathos, una piccola presenza, in un grande spazio/tempo fatto anche di vuoto.
Ecco quello che penso.
Un affettuoso saluto,
Fausta
Così mi scrive annamaria de pietro, in vacanza nelle Puglie:
RispondiEliminaHo letto il tuo pezzo sulla Pietà Rondanini. Non l’ho vista nella nuova sistemazione; della vecchia ricordo che da quel semiguscio che circondava alle spalle il gruppo traevo una sensazione bipolare: da un lato apprezzavo la moltiplicazione della torsione implosiva, dall’altro deploravo la messa in secondo piano della parte posteriore, come un taglio in due della ruota dello spazio. Le sculture infatti vanno viste tutt’attorno, perché sono come un’enclave di spazio solido dentro lo sterminato spazio aereo e infinito. E’ vero che ha qualcosa di lombardo: il non finito affidato a una durissima materia materiale. Andrò a vederla, al ritorno da queste Puglie sconfinate che non amo ma che mi toccano come un destino.