In ogni caso è lì, dove dice lui, che è rimasta la mia primissima infanzia. Lui però ha coltivato con amore gelosissimo per tutta la vita il suo cantuccio schivo ma non diviso dal mondo. Da lì apre per tutti la poesia del 900. Da psicanalitico prima della psicanalisi, come ebbe a dire Contini, la sua poesia tra endecasillabi di confine e settenari con qualche tintinnio di rime, è strumento d'indagine per tutti, da ogni luogo.
“TRIESTE” di Umberto SABADalla raccolta “Trieste e una donna” (1910-12)
Ho attraversato tutta la città.
Poi ho salita un’erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.
Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all’ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un’aria strana, un’aria tormentosa,
l’aria natia.
La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.
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