giovedì 17 ottobre 2019

La prima raccolta di racconti brevi di Adriana Perrotta Rabissi: 'Sfocature'

I dieci racconti di Sfocature pubblicati ora su Overleft (www.overleft.it) compaiono con la nota critica di Franco Romanò della quale riporto le prime righe:

                                                                           

Sfocature, di Adriana Perrotta Rabissi, è una sequenza di rapide narrazioni, di cui alcune già pubblicate sulla rivista online a.VERARE. Il racconto breve e brevissimo gode di una tradizione, pur essendo un genere giovane e questa raccolta s’inserisce in esso con una spiccata originalità. Il titolo evoca immagini di rarefazione e ci immette in un universo di incertezze e inquietudini; anche i titoli dei singoli racconti, confermano questo imprinting iniziale con altrettanta coerenza. Alcuni sono una variazione sul tema (Distorsioni e Amnesia per esempio), altri decisamente spiazzanti come Tavola imbandita thailandese e Fogli di carne, altri ancora – all’apparenza del tutto normali come Metropolitana - nascondono nelle loro pieghe situazioni paradossali e disturbanti.

Qui riporto i primi tre racconti.

Distorsioni

Impegnata a sistemare nel bagagliaio dell’auto una scatola tra valigie, sacche e borse, non si accorge dell’uomo fermo dietro di sé, immobile tranne che per il pomo d’Adamo che sale e scende in modo rapido. Si volta con un breve sorriso accompagnato da uno sguardo interrogativo, l’uomo si riscuote e passa oltre, senza parlare, come preso da urgenza. Tra una divagazione della mente e l’altra ripensa a quando ha rischiato di esporsi a sguardi indiscreti per quell’azzardo sporadico, oscillante tra spavalderia e ritegno, di girare in minigonna senza slip. Ma forse l’ha immaginato, o l’ha sognato.

Al lavoro non ama distrazioni che non siano l’abbandono al fiume sotterraneo di pensieri-emozioni nel quale immergersi e nuotare, ogni tanto. Si racconta storie delle quali è protagonista, sorride o rabbrividisce durante la narrazione. Nessun disturbo o interruzione. D’all'esterno, osservando attraverso il vetro opalescente dell’ufficio, sembra si stia svolgendo qualcosa che non può essere interrotto. Quando riemerge constata con soddisfazione di aver ha ampliato per qualche tempo l’arco di vita.

Desidera con forza essere apprezzata, un po’ temuta anche, a volte si chiede quanto influisca sull’ammirazione che ricerca con meticolosità, l’aspetto fisico, o l’intelligenza esibita senza arroganza, la cortesia dimostrata nelle relazioni anche occasionali, la competenza nel suo lavoro

Non sa se preferisce gli uomini o le donne.

Nuota nell’acqua trasparente e calda, quasi immobile, sul fondo un giardino con fiori dal colore acceso; peccato per quel portone di vecchio legno, poggiato sul mare, largo quanto l’orizzonte, che impedisce il passaggio. Sa che dall'altra parte ci sono persone che vorrebbe raggiungere, soprattutto una, di cui sente la voce, ma non trova un varco. Teme che il mare aperto sia mosso, e indugia al di qua del portone. Al risveglio si rammarica

 ***

Desideri

La mattina si presenta fredda ma limpida; finalmente un giorno in armonia con l’immagine interiore della stagione, allora è tutto in ordine, la giornata scorrerà tranquilla. Da quando ha smesso di lavorare si alza serena, può indugiare nel ricordo dei sogni appena fatti, le sensazioni sono le stesse di quando era bambina, ma ora non può evitare di interrogarsi non sul significato, ha imparato che un sogno vuol dire qualcosa e il suo contrario, ma sullo stato d’animo che l’ha determinato. Solamente rimpiange la perdita della magia di allora.

 Nel parcheggio del Porto Antico c’è posto, l’incontro con Mirko la turba un poco; perché poi vedersi in un luogo così denso di ricordi da mettere a rischio l’autocontrollo, che pena sarebbe essere tradita dall’emozione. Si rimprovera la sua solita resistenza a rifiutare inviti rivolti con gentilezza; l’abbandono alla tenerezza di un momento le impedisce di assecondare il proprio desiderio, come se fossero soltanto i gesti arroganti quelli in grado di suscitarle per reazione l’amor di sé.

“Sono qui da un po’, temevo non venissi più. Camminiamo verso il molo?”

“Allora, che cosa c’è? Perché siamo qui?”

“E’ una banalità dire che sei cambiata poco in trent’anni?”

“Abbastanza, ma mi sta bene lo stesso il complimento”

Il fastidio per i modi e le parole scontate non cancella del tutto il senso di leggera euforia che la invade, chissà se anche a ottant’anni sarà sensibile agli effimeri apprezzamenti dei quali, forse, sarà ancora fatta oggetto. Non si è ancora liberata delle insicurezze adolescenziali.

E’ in piedi su una roccia protesa nel mare, le onde si fanno più agitate a vista d’occhio, questa volta decide di scendere nell’acqua, che si rivela azzurra e calma, il mare è chiuso, senso di appagamento, eppure, un momento prima, dalla finestra della sua casa di bambina aveva guardato con timore, misto a desiderio, il mare aperto, pulsante di un moto crescente.

E’ stato piacevole ritrovarsi con un vecchio amore per una conferma, non cercata, di quanto fosse conclusa la relazione già al suo inizio. E’ stata bene, ha mangiato con appetito, chiacchierato del più e del meno, compensando, a distanza di anni, le ansie e angosce provate al tempo del suo innamoramento.

Prova curiosità per la riunione in una vecchia libreria nel cuore della città. Le ha telefonato un’amica: “ Ci rivediamo, un po’ di vecchie e un po’ di giovani che vorrebbero conoscerci. Hanno letto qualche libro, ma non hanno capito molto, non c’è niente in giro in grado di trasmettere davvero quello che è successo trent’anni fa. Quando vengono in libreria parliamo un po’, mi hanno quasi costretto a vederci, non ho saputo dire di no, si tratta di un paio d’ore. Vieni anche tu.” Perché no, le piace sempre incontrare persone; quando lavorava si trattava di incontri obbligati, ora le sembra un lusso scegliersi le situazioni, anche quando si rivelano poco interessanti.

Si è rammaricata per anni di non avere avuto figli, prima era troppo occupata con il lavoro, l’amore, i viaggi, poi, quando ha deciso di fermarsi e provare non sono venuti. Chissà come sarebbe andata se avesse fatto coppia stabile con una donna, avrebbero deciso e ottenuto di avere figli? Si sarebbero trovate insopportabili l’una con l’altra, salvo aiutarsi –dovere o piacere- in caso di reciproco bisogno? Oppure avrebbero condiviso serenamente le loro condizioni di bambine-ragazze –giovani donne e donne adulte, scambiandosi pensieri, esperienze e amore?

Il vano sul retro della libreria, metà magazzino e metà soggiorno con una ventina di seggiole in legno, è confortevole, una decina di donne lo occupa, non si è perduta l’abitudine di portare qualcosa, una scatola di biscotti, salatini, acqua minerale, c’è anche una bottiglia di bianco, secco. Saluti, presentazioni, l’inevitabile imbarazzo del prendere la parola. La più disinvolta, laureata in ingegneria meccanica, lavora in una multinazionale di progettazione di impianti idraulici per usi industriali, rompe il ghiaccio. Fino ai vent’anni non si è interessata ai discorsi delle donne sulle donne, al liceo ha vissuto in classe una situazione di eccellenza femminile. Apprezzata da insegnanti e studenti, ammirata e corteggiata, a volte è corsa in aiuto di ragazzi timidi e miti, maltrattati da coetanee in mille modi. All’università è stata sempre tra le migliori, ha studiato senza eccessivi tormenti e patimenti. Ha confortato amici inconsolabili, piantati all’improvviso dalle rispettive fidanzate, molto più numerosi gli abbandonati che non le abbandonate. E’ proprio una donna nuova, emancipata, lontana, per quanto le è possibile, dal lavoro di cura, autostima senza superbia, rapporti franchi con uomini e donne, individua con precisione e rapidità il proprio desiderio riguardo a persone, oggetti, situazioni. Mentre lei, pur con il pallino dell’emancipazione in testa fin piccola, ha scelto una professione che è pur sempre un’estensione del lavoro di cura.

Un misto di ammirazione e di angoscia la invade, se non si fosse lasciata andare a una sorta di automoderazione, se si fosse ascoltata con maggiore attenzione, chissà quale sarebbe stata la sua vita. A dieci anni, quando aveva conosciuto a scuola la chimica, aveva deciso che avrebbe studiato chimica industriale, per andare a dirigere un'azienda nel deserto. Questo ha sostenuto per tutte le medie e il liceo. Al momento di iscriversi all’Università si è iscritta a Lettere.

Si sente rincorrere mentre si avvia verso casa: “Non ho avuto modo di dirlo prima, parlavamo tutte insieme, volevo dire che vi ammiro molto, voi di una certa età, avete vissuto in momenti più difficili di noi, minori libertà di costumi e maggiori difficoltà ad affermarvi nel lavoro. Eppure siete state così brave a riconoscere i vostri desideri, che siete riuscite a ottenere quello che volevate. Vi invidio anche un po’, io ho buon lavoro e soddisfazioni nella vita, ma volte mi sembra di lasciarmi un po’ troppo trasportare dalla corrente, dal momento, dalle aspettative degli altri. Temo proprio di non avere la vostra forza di volontà e determinazione”.

 ***

Tavola imbandita thailandese

La focacceria  è piena di clienti,  le commesse  ora  con  una battuta in dialetto ora con  un’osservazione sul tempo, contengono  l’inquietudine che comincia a serpeggiare tra i clienti in attesa  per  lo scorrere dei minuti. Le forme di pane croccante sulle mensole infarinate, le teglie di focaccia oleosa e profumata di salvia e cipolle rallegrano occhi, solleticano nasi e smuovono salive; è l’ultima fermata questa, tutto il necessario per la cena è stato comprato, non è ancora mezzogiorno e fino alle  otto di sera ci sarà il tempo per prepararla con calma.

Il vento, all’uscita del forno, l’investe di un profumo di mare selvaggio, non ancora addomesticato  dai languori  fruttati  e appiccicosi degli oli e delle creme solari. Nel tratto verso casa, ripassato l’ordine delle portate, comincia a pensare a come apparecchiare. Negli ultimi tempi è frequente il desiderio di stupire amiche e amici imbandendo la tavola secondo stili tradizionali di cucine orientali, ci starebbe bene lo stile cinese questa sera, che però richiederebbe cibi difficili da preparare per adattarli al vasellame; vada allora per lo  stile thailandese; le scodelle con i piatti rettangolari, le tovagliette in bambù, le mini-salsiere  smaltate a colori vivaci. Le due composizioni di fiori al centro del tavolo diffonderanno buonumore, unica eccezione l’assenza dell’altarino a Buddha, questo proprio non lo prevede. Contaminerà la scena con gli amati centrini di pizzo, regalo della nonna centenaria.

Abbandona malvolentieri i caruggi per tornare a casa, gli alti edifici che sembrano congiungersi verso il cielo assicurano protezione  mista a quel senso di trasalimento consueto ogni volta che svolta  un angolo, nell’attesa–timore di incontrare l’imprevisto. Sensazione analoga a quella provata nel ricorrente sogno di discesa in una cantina buia, dal pavimento sconnesso, dai muri sgretolati, resa affascinante dai percorsi  labirintici che conducono  all’incontro con il mostro da combattere, ogni volta presentito e mai incontrato.

Mentre dispone i piatti in lavastoviglie riflette sulla propria fragilità emotiva,  responsabile dell’agitazione mantenuta tutto il giorno. Dono recente della raggiunta maturità, che si traduce in  ansia da prestazione, in questo caso appena mitigata dalla consapevolezza della  consolidata esperienza culinaria. Neppure un’eventuale mancanza di tempo giustificherebbe l’insicurezza che ormai l’accompagna sempre più frequentemente. Da quando ha lasciato il lavoro il tempo non è più un problema oggettivo.

Un improvviso scarto, un soprassalto, un odore pungente di gasolio, il motore sputacchia e si spegne, meno male che è in vista della terra dopo tanti giorni di permanenza in alto mare, ci sarà forse da pulire il carburatore. Ancora.

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