22 0ttobre 2014
“Non foss’altro che l’aver costretto l’azienda a non farci lavorare più con le mani alzate alla catena di montaggio, ad aver costretto la direzione a ridurre al minimo la parte variabile del salario costringendoci ad aumentare il ritmo di lavoro per qualche soldo in più, basterebbe questo per dirti che io sconfitto non mi sento affatto. Lo so che ora hanno recuperato tutto, è vero ma allora la guerra era in corso, ora la guerra è finita e l’hanno vinta loro”.
Adelio, operaio pensionato, ha ragione su tutto. Per miei interessi di studioso di storia del movimento operaio e di intellettuale conosco come sono andate le cose, e del resto lo penso anche come insegnante. Ex.
Non foss’altro che l’aver informato i miei allievi di scuola media superiore per trentasette anni che le mie lezioni di Storia e di letteratura italiana non pretendevano di essere la verità ma solo una verità (anche se condivisa, prove alla mano, da molti), basterebbe questo per dire che non mi sento affatto uno sconfitto. Sconfitta è stata quella scuola che mascherava ideologie dietro la pretesa dell’oggettività, del giudizio super partes, del bello e del sublime eterni e immutabili. Ai miei allievi ho cercato di insegnare a sospettare ed esercitare il dubbio critico sempre con chiunque si presenti con le verità in tasca. Certo è che allora il conflitto era in corso. La verità del crocifisso appeso dietro la scrivania sembra che nelle scuole sia tornata. Allora non si poteva perché la religione cattolica non era religione di stato. La verità 'naturale' unica del progresso dentro il capitalismo neoliberale è un'altra volta sulle creste dell'onda. Allora non poteva perché il movimento operaio accanto a quello degli intellettuali, degli studenti, delle donne stimolava la riflessione sulle alternative di vita.
23 ot.
Non bastano 37 anni di lavoro a tempo indeterminato nella scuola italiana per cacciare dalla testa lo smarrimento che provavo da giovane quando mancavo di un posto di lavoro non precario. Ancora oggi da pensionato ogni tanto mi chiedo smarrito se non troveranno il modo di togliermi la pensione e rendermi precari gli ultimi anni di vita. In realtà molto verosimilmente non ce la faranno.
Del resto la mia precarietà era dovuta allo smarrimento giovanile di non sapere cosa fare di me. Ottenuto un diploma liceale più per caso che per merito, dopo un anno di lavoro come impiegato, in piena crisi esistenziale, mi chiesi se non era il caso di darmi a qualche attività manuale. Fare l’operaio era attraente in quegli anni, più di quanto oggi si possa pensare. Certo l’attrazione verso la fabbrica era soprattutto nei giovani proletari, che frequentavo più di quanto non frequentassi la classe borghese medio alta di formazione liberale o fascista cui appartenevano i miei compagni di liceo. Ma un po’ che la mia vita scolastica era stata un disastro (credo di essere stato uno degli allievi più bocciati d’Italia degli anni cinquanta, e non dico a caso Italia visto che le bocciature le ho collezionate tra le numerose città in cui avevo frequentato disordinatamente le varie scuole) un po’ che la vita d’impiegato a 54 mila lire al mese, che non erano nemmeno pochissime per allora, mi sembrò un suicidio, la scelta di una dissacrante attività manuale in qualche fabbrica in fondo poteva ben essere la soluzione di vita che mi mancava. Non è andata così. Dopo un anno di lavoro manuale e servile a Colonia mi sono rimesso a studiare e mi sono anche laureato (con un voto non disprezzabile e con un gratificante riscatto morale verso la cultura). E a dirla tutta ho fatto l’insegnante con grande entusiasmo e sono convinto di essere anche stato un buon insegnante. Ma questo non c’entra. Per ora.
Il problema nasce una sera nella quale, nella mia terza vita, quella di scrittore riconosciuto di versi e di righe, una delle poete sedute a una tavolata di poeti e poete appunto, animata da una sua ubris personale contro di me ( i fatti in seguito avrebbero dimostrato che era mossa da invidia e gelosia) metteva a confronto la sua generazione e la mia sostenendo che la sua doveva reggere sulle spalle le manchevolezze della mia generazione.
“Andiamo, renditi conto che sei un testimone di una generazione di sconfitti…”
Le risposi che si sbagliava, che era sbagliato quello che diceva e che io non mi sentivo, insieme a tanti altri e altre, affatto sconfitto.
“Ma non è vero. La mia generazione ha vinto più di quanto tu sappia o non voglia sapere. Tu invece probabilmente sei una testimone del rifiuto della tua generazione di misurarsi col passato e temo che questo atteggiamento finirà col causare nei vostri figli la perdita totale della memoria storica e dunque quella delle nostre conquiste. Hai presente quando Wim Wenders fa dire al protagonista di ‘Nel corso del tempo’ a proposito degli americani, che costoro hanno finito con colonizzarci l’inconscio? Non so se lo diceva riferito a tutti noi europei o solo ai tedeschi, quello che mi sembra certo è che intravedo oggi più che mai per i nostri giovani la totale dismissione dalla Storia e la voglia insuperabile, perché inscritta interiormente, di vivere in un eterno presente.’
Non ho esagerato, se mai sono stato molto garbato come sempre, avrei potuto essere più cattivo . Avrei anche potuto dirle en passant cosa pensavo dei suoi versi, perché versi ne scriveva anche lei e forse ne scrive ancora, versi che non riescono a togliersi di dosso quel tanto di burocratico che promana dal suo parlare e financo dalle sue posture di donna desiderante, incline a mostrarti in segno di emancipazione sessuale le sue poderose cosce corte.
Non bastano 37 anni di lavoro a tempo indeterminato nella scuola italiana per cacciare dalla testa lo smarrimento che provavo da giovane quando mancavo di un posto di lavoro non precario. Ancora oggi da pensionato ogni tanto mi chiedo smarrito se non troveranno il modo di togliermi la pensione e rendermi precari gli ultimi anni di vita. In realtà molto verosimilmente non ce la faranno.
Del resto la mia precarietà era dovuta allo smarrimento giovanile di non sapere cosa fare di me. Ottenuto un diploma liceale più per caso che per merito, dopo un anno di lavoro come impiegato, in piena crisi esistenziale, mi chiesi se non era il caso di darmi a qualche attività manuale. Fare l’operaio era attraente in quegli anni, più di quanto oggi si possa pensare. Certo l’attrazione verso la fabbrica era soprattutto nei giovani proletari, che frequentavo più di quanto non frequentassi la classe borghese medio alta di formazione liberale o fascista cui appartenevano i miei compagni di liceo. Ma un po’ che la mia vita scolastica era stata un disastro (credo di essere stato uno degli allievi più bocciati d’Italia degli anni cinquanta, e non dico a caso Italia visto che le bocciature le ho collezionate tra le numerose città in cui avevo frequentato disordinatamente le varie scuole) un po’ che la vita d’impiegato a 54 mila lire al mese, che non erano nemmeno pochissime per allora, mi sembrò un suicidio, la scelta di una dissacrante attività manuale in qualche fabbrica in fondo poteva ben essere la soluzione di vita che mi mancava. Non è andata così. Dopo un anno di lavoro manuale e servile a Colonia mi sono rimesso a studiare e mi sono anche laureato (con un voto non disprezzabile e con un gratificante riscatto morale verso la cultura). E a dirla tutta ho fatto l’insegnante con grande entusiasmo e sono convinto di essere anche stato un buon insegnante. Ma questo non c’entra. Per ora.
Il problema nasce una sera nella quale, nella mia terza vita, quella di scrittore riconosciuto di versi e di righe, una delle poete sedute a una tavolata di poeti e poete appunto, animata da una sua ubris personale contro di me ( i fatti in seguito avrebbero dimostrato che era mossa da invidia e gelosia) metteva a confronto la sua generazione e la mia sostenendo che la sua doveva reggere sulle spalle le manchevolezze della mia generazione.
“Andiamo, renditi conto che sei un testimone di una generazione di sconfitti…”
Le risposi che si sbagliava, che era sbagliato quello che diceva e che io non mi sentivo, insieme a tanti altri e altre, affatto sconfitto.
“Ma non è vero. La mia generazione ha vinto più di quanto tu sappia o non voglia sapere. Tu invece probabilmente sei una testimone del rifiuto della tua generazione di misurarsi col passato e temo che questo atteggiamento finirà col causare nei vostri figli la perdita totale della memoria storica e dunque quella delle nostre conquiste. Hai presente quando Wim Wenders fa dire al protagonista di ‘Nel corso del tempo’ a proposito degli americani, che costoro hanno finito con colonizzarci l’inconscio? Non so se lo diceva riferito a tutti noi europei o solo ai tedeschi, quello che mi sembra certo è che intravedo oggi più che mai per i nostri giovani la totale dismissione dalla Storia e la voglia insuperabile, perché inscritta interiormente, di vivere in un eterno presente.’
Non ho esagerato, se mai sono stato molto garbato come sempre, avrei potuto essere più cattivo . Avrei anche potuto dirle en passant cosa pensavo dei suoi versi, perché versi ne scriveva anche lei e forse ne scrive ancora, versi che non riescono a togliersi di dosso quel tanto di burocratico che promana dal suo parlare e financo dalle sue posture di donna desiderante, incline a mostrarti in segno di emancipazione sessuale le sue poderose cosce corte.