Dalla sezione: Diario d'Occidente:
Diario in rete di Paolo Rabissi iniziato nel settembre del 2011. Fino al giugno del 2012 ho scritto qui, con riflessioni anche in righe, il poemetto: Inverno a Colonia. Col tempo è diventato parte di un progetto più vasto concluso nel 2017 e che comprende altri tre poemetti. Il tutto verrà pubblicato conservando il titolo generale di Inverno a Colonia. Il diario si è nel frattempo arricchito di saggi critici, recensioni, discussioni nonché presentazioni di iniziative pubbliche.
martedì 22 luglio 2025
Audiolettura n°2 da 'Bestie Animali Specie', youcanprint, 2024
Dalla sezione: Diario d'Occidente:
martedì 3 giugno 2025
Caro amico, ti scrivo in digitale
Caro amico, ti scrivo in digitale
Vecchio mio,
va tutto bene,
mi preme
solo di sapere se come sei solito
le stai schivando tutte queste ingiurie
dei tempi scellerati che viviamo
e però t’invito, ce n’è da fare
comunque, ché la scadenza è fra poco
tutti quegli orizzonti disegnati
così ristanno entropizzati e fermi
che a breve l’Occidente non c’è più
e l’Oriente dagli Urali al mar del Giappone
ha solo movimenti di restauro
dell’ordine antico di elmi ammaccati e
laser nucleari.
La diagonale del tempo geologico
mostra gli interstizi come via di fuga per
evitare l’asfissia dell’antropocene,
senza farci troppe illusioni
carta e penna serviranno
e non dimentichiamoci
che a distruggere la biblioteca di Alessandria
e quella di Costantinopoli sono stati
cristiani egiziani, catalani, franchi e veneziani,
ma ora c’è spazio anche per un Dio più antico.
domenica 1 giugno 2025
Dentro le vene del secolo, di Nino Iacovella, lettura critica di Bestie, animali, specie, di Paolo Rabissi
Dentro le vene del secolo
Paolo Rabissi è da sempre un attivista gentile della poesia e dell’impegno civile, ma un attivista nel senso più profondo del termine: come poeta, non si è mai chiuso nel ristretto ambito della propria scrittura, piuttosto ha cercato sempre l’arte dell’incontro e della condivisione letteraria. La sua attività si è concretizzata, tra le altre cose, attraverso la partecipazione a due delle riviste di poesia più dinamiche della sua città: La Mosca di Milano e Il Monte Analogo.
Costante nella sua ricerca poetica, Rabissi ha sempre cercato di andare oltre gli schemi del lirismo minimalista e del disimpegno, affrontando la scrittura con un senso di responsabilità verso il presente. In questa direzione, insieme a Franco Romanò, ha ideato un osservatorio tematico della poesia – il litblog Diepicanuova – un progetto che si distaccava dalle consuete tematiche e dal linguaggio del lirico per aprirsi a un percorso collettivo che riscopriva l’epico, inteso come una poesia capace di affrontare la Storia, le sue tragedie, ma anche le sfide del presente, rinnovando la possibilità della narrazione in versi. Un’esigenza che oggi appare particolarmente in sintonia con lo spirito dei tempi.
La sua ultima opera in versi, Bestie Animali Specie, autoprodotta nel 2023 e accompagnata da una prefazione di Franco Romanò, nasce da questo stesso impegno. Il libro si sviluppa in un montaggio che, pur presentandosi come frammentato, segue una trama poematica e tematica che attraversa l’epopea umana, in particolare quella del Novecento: il secolo breve che l’autore ha vissuto, dalle sue cicatrici postbelliche fino alle inquietudini della crisi globale attuale. Il titolo stesso, Bestie Animali Specie, con la sua valenza tassonomica, suggerisce una visione dell’evoluzione umana come un processo che va dal livello più primitivo fino all’attuale condizione, come se l’uomo si fosse progressivamente raffinato attraverso un “imbuto” che condensa la sua esistenza e la sua storia.
Rabissi ci parla da una fase della storia che ha superato la tragedia del Novecento: ha consumato i suoi drammi, ma anche le sue passioni, quelle relative alla ricostruzione di un mondo nuovo, più equo e umanamente profondo. Come in un film, il climax è ormai alle spalle e ci troviamo nella fase di scioglimento, quella in cui i bilanci sono stati fatti. Nell’ultima sezione del libro, dedicata ai metaloghi, l’autore, mentre si dedica alla sua routine di giardinaggio, si apre a un dialogo con sé stesso, sotto forma di una discussione metafisica con un grillo, creando un momento di introspezione che intreccia il quotidiano con la riflessione profonda.
Per Rabissi, fare poesia significa aprirsi alla Storia, ripercorrere il cammino della propria vita e del destino collettivo di una generazione che ha visto la società deviare dal suo percorso evolutivo più felice. La traiettoria progressista, quella grande ambizione che si è scontrata con le macerie della “fine della storia” evocata da Fukuyama, lascia all’autore il compito di raccontare il disincanto.
Il suo stile poetico si distingue per un’andatura prosastica, limpida e precisa, dove, come avrebbe detto Giampiero Neri, ogni parola deve aderire al suo significato, e ogni verso deve trovare il giusto equilibrio tra sensazione e forma. Se necessaria basta una semplice martellatura del verso. La storia e il pensiero filosofico, per Rabissi, non sono separabili dalla poesia: devono, anzi, trovare il loro spazio all’interno di essa, come se ogni testo poetico fosse un frammento di una riflessione più ampia.
ecco che maneggiare millenni diventa
addirittura possibile, lo scrittore di versi
si sente a casa quando la parola che usa
è senza dubbi la più vicina al senso,
allora la verità non è davvero solo
la somma degli anni, in certi casi rischia
di folgorare, l’attenzione si raddoppia se lo scarto
col presente diviene da secolare millenario,
qualcuno azzarda lemmi poco collaudati se
si tratta di milioni di anni. La vertigine
ora può farsi smarrimento il computo oltremodo
estendendosi di anni, bastano pochi reperti
catalogati e conservati e ti ritrovi compagno
per strade non visibili
per paesaggi che la Storia non raggiunge
***
Per uscire sulla strada parallela
fai portone corte portone,
lo apri e ci sei,
da lì, ogni giorno, il mare s’intravede.
Il più è quell’attraversamento.
In solitudine, a sera, dicono di topi
grossi come gatti.
Con la pioggia la distanza raddoppia,
eppure è l’acqua di tutti i giorni.
***
Ci vuole coraggio per fare di una riga un verso
accendere parole senza incendiarle
guardare i passanti diritto negli occhi.
Claudio a tarda sera traccia una serpentina
sul sentiero, non sbaglia la meta
ma alberi e cielo e uccelli notturni
ruotano insieme sulla sua testa.
Nella sua branda la brace della sigaretta
s’illumina a tratti nel buio per tutta la notte
***
Non si batte la concorrenza con cyborg serventi
semplificatori di orario senza urgenze corporali,
checché ne dicano i poeti pronti a dargli fiati
desideranti. Per ora gli umani costano meno,
meno persino di bestie da soma,
meglio svitare la testa e sostituirla.
Una modifica stabile ed ereditabile
nella sequenza di un genoma, come esito
dovuto di gesti ripetuti all’ infinito, di posture
ripetute all’infinito, fino a farsi inclinazioni
sentimentali.
Ad esempio testare, se funziona.
la lampadina, accenderla e riporla con le altre
sul nastro portatore che squadra il giorno, ritma
ore e fatica. Quante volte in otto ore? Che modifica
ha contratto la giovane operaia? La domanda
a monte è quella di metterci cura,
quella fin lì destinata solo a pochi.
***
In quegli anni la luce era accecante, si pensava
di sostenerla camminando obliqui come l’angelo della Storia
un occhio alle macerie un occhio all’ignoto futuro.
Ora sposta pure lo sguardo sulle periferie
delle città imperiali, portala con te la luce marina
come quando con la tua fotocamera catturi
la luce più viva pigiando a metà l’otturatore.
***
Bello il tuo universo irrequieto e pullulante
di atomi infinitamente piccoli, polverio
colorato di particelle elementari in vibrazione
che chiacchierano tra loro, si scambiano parti
si travestono mutanti dal semplice
al complesso e viceversa, mondi in relazione
senza fine. Ecco, se il tuo Universo è scritto in versi
proviamo a strappare bellezza alla gravità,
a disegnare geometrie leggere
a scambiarci segnali di luce di mondi appena
possibili, ancora opachi alla debole vista
lunedì 5 maggio 2025
domenica 23 marzo 2025
Quel dialogo che ha la virtù di evitare le scazzottature. Le guerre?
uovo con stecco
Una persona illuminata mi ha invitato a sbrogliare una mia postura intellettuale. Quella che non crede alla capacità del dialogo di...dialogare veramente. Penso da sempre che comunemente ciò che viene chiamato dialogo, nella sua accezione di salvaguardia democratica, sia costituito da due momenti. Nel primo c'è l'ascolto dell'altro, indispensabile. Nel secondo c'è la dichiarazione di quanto pensa l'altro. Segue poi una articolazione più o meno ricca delle due posizioni. Alla fine nella maggior parte dei casi ciascuno conserva la propria posizione che anzi probabilmente si è rafforzata. Di qui il mio scetticismo sulle presunte capacità del dialogo di favorire reali mescolamenti di pensiero, arricchimento del proprio bagaglio culturale.
La persona illuminata mi prende di sorpresa, dice che tutti i dialoganti sanno benissimo che ciascuno al termine del dialogo conserverà la propria posizione. Bene dico io, dunque è inutile sbandierarlo come necessario, democratico, illuminato...
Invece lo è, mi sento dire, perché è la via per evitare che i due facciano da subito a cazzotti tra loro.
Ma due persone predisposte a dialogare sono per se stesse persone non disposte ai cazzotti, dico io. Insomma se si dialogasse di più si eviterebbero le guerre? No. Però, conclude l'illuminata persona, le si può allontanare, rallentare, disturbare, il che fa comunque risparmiare vittime.
Questo spiega perché Pericle, per onorare i caduti in guerra contro Sparta, esalta, come riferisce Tucidide, le capacità di dialogo degli Ateniesi che hanno fatto di Atene un faro di civiltà di democrazia, di cultura, di arte.
Poi viene da pensare al comportamento di Atene nei confronti di Melo, isoletta di pochi pescatori che avevano il torto di essersi dichiarati neutrali nella guerra con Sparta. Gli ambasciatori ateniesi, secondo Tucidide, arrivano all'incontro, al dialogo, dicendo in pratica che essendo loro superiori, i Melii era meglio che si arrendessero subito, avrebbero evitato vittime e distruzioni. I Melii rispondono che la giustizia degli dei li proteggerà. Gli ateniesi rispondono che è proprio dagli dei che hanno imparato che in uno scontro in cui uno è inferiore, quest'ultimo deve accettare di sottomettersi, di giustizia si può parlare solo quando i contendenti sono alla pari, in questo caso l'asimmetria dei poteri garantisce ad Atene che è la più forte la protezione degli dei. Fine del dialogo. Entrambe le parti sapevano sin dall'inizio come sarebbero andate le cose. La parola alle armi. Atene, per la rabbia della resistenza accanita dei Melii massacrò tutti i maschi adulti, ridusse in schiavitù donne e bambini, devastò la città, i villaggi e i campi.
Sorvoliamo sul fatto notissimo che la democrazia elaborata da Atene si fondava sull'esclusione di donne, schiavi e meteci.
Sembra di poter concludere che il dialogo è buona cosa nel senso che magari è capace di evitare scazzotatture, ma le guerre...
Occorre poi aggiungere che Sparta distrusse ferocemente Atene, qualcuno rammentò il comportamento tenuto da Atene con i Melii alleati di Sparta. Sparta attaccò per prima nella guerra ma l'ateniese Tucidide non esita a dire che ciò fu dovuto alla preoccupante e prepotente egemonia che Atene stava instaurando al di là dell'Attica.