Anche molti compagni e amici di strada come me hanno letto molto poco del romanziere Umberto Eco, quasi tutti invece non hanno dubbi nel ritenere assolutamente importanti, soprattutto per l'opera di svecchiamento attuata nel nostro provincialissimo paese, libri come Opera aperta, Diario minimo e Apocalittici e integrati.
L'aspetto forse più interessante, per le sorti della nostra intellighenzia, è la disinvoltura con cui Eco si è impossessato di un linguaggio che miscelando alto e basso, accento elitario e toni di massa, ha 'sfondato' in libreria raggiungendo, moltissimo altrove peraltro, tirature insolite per il nostro paese.
Franco Fortini, ma non solo lui, rilevò a suo tempo superficialità e opportunismi dell'operazione ma di lui trovo interessante un suo giudizio più generale apparso in Il dolore della verità, Maggiani incontra Fortini, (Manni 2000), nel quale afferma: "Nessuno scrittore americano si fa problemi per i diritti d'autore, scrivono e sperano di fare soldi (a parte pochi e isolati), sanno come ci si regola. Qui da noi alcuni hanno preso questa cittadinanza (come Umberto Eco), ma molti altri si fanno problemi e non sanno bene cosa vogliono, se il 17° migliaio o la tomba in Santa Croce: questo è un fatto tipico della frontiera, e mi sento di aggiungere che non siamo e non saremo mai la 50° stella".
Sono parole degli anni Ottanta ma a distanza di più di quarant'anni c'è da chiedersi quanto dell'ultima considerazione valga ancora per certa nostra foltissima produzione poetica che tra linguaggio colto o comunque poco accessibile e linguaggio da certe slam poetry sembra ancora indecisa se aspirare a vendere o a procurarsi la tomba in Santa Croce (ammesso che Foscolo venga ancora letto!). Io spero che decidano di imparare a vendere.
Diario in rete di Paolo Rabissi iniziato nel settembre del 2011. Fino al giugno del 2012 ho scritto qui, con riflessioni anche in righe, il poemetto: Inverno a Colonia. Col tempo è diventato parte di un progetto più vasto concluso nel 2017 e che comprende altri tre poemetti. Il tutto verrà pubblicato conservando il titolo generale di Inverno a Colonia. Il diario si è nel frattempo arricchito di saggi critici, recensioni, discussioni nonché presentazioni di iniziative pubbliche.
giovedì 25 febbraio 2016
martedì 23 febbraio 2016
Navigando tra le pagine di Walter Benjamin
Queste note nascono dall'intenzione di fare un omaggio a Walter Benjamin. Anche se a dirla tutta corro il rischio di apparire immodesto, Benjamin non ha certo bisogno di omaggi come quello che posso fare io qui. Del resto si tratta di un autore difficile e non solo per me. Ma fra le sue pagine sto
imparando a muovermi come nello Zibaldone di Leopardi, non in cerca di una sistematicità di pensiero e teorie ma spunti e aperture che riguardano il modo di leggere la Storia e paradossalmente, ma mica tanto per me, anche stimoli al discorso poetico. Soprattutto per quella prudenza estrema che Benjamin suggeriva nel lavoro di interpretazione dei fatti storici, per quella sua nozione di storia come montaggio, per la consapevolezza dei limiti dell'espressione linguistica (sulla quale mi sono soffermato nel post del 21 gennaio dal titolo La poesia e il linguaggio di tutti i giorni con l'aiuto di Brodskij
Da poco è uscita per Einaudi una biografia imponente di 700 pagine: Walter Benjamin, A critical life, di Howard Eiland e Michael W. Jemmings, se ne trova una recensione su Doppiozero a questo indirizzo http://www.doppiozero.com/materiali/recensioni/walter-benjamin-critical-life
Meno recentemente ma non meno ricco è uscito il numero 3 di L'ospite ingrato, Quodlibet, interamente dedicato al filosofo tedesco, intitolato: Walter Benjamin, Testi e commenti, a cura di Gianfranco Bonola, che raccoglie una messe di interventi, coordinati dall'amico Luca Lenzini, di illustri studiosi (cito qui Michele Ranchetti, Cesare Cases, Franco Fortini, Renato Solmi e altri) nei quali è fruttuoso navigare senza pretendere di doppiare una tantum l'opera.
C'è un saggio in particolare scritto da uno studioso americano che ha il merito di sintetizzare molto, cosa meritevole di attenzione, ne riporto qui la pagina conclusiva.
Thomas Peterson
La storia come montaggio in Benjamin
VI. Conclusione
Sono stati in molti ad etichettare Benjamin come autore contraddittorio o paradossale. Certamente il suo pensiero non sta tranquillo dentro i contorni di una singola disciplina o terminologia specialistica, come la fenomenologia o l'idealismo, il marxismo o lo storicismo. Benjamin non conia una sua dottrina. A dispetto del carattere prolifico della sua opera, si può dire che chiave del suo stile - rispecchiato nella calligrafia miniaturistica dei suoi manoscritti, stesi con estrema cura - è la reticenza e la modestia. Benjamin era consapevole di lavorare "sulle spalle di giganti" e evitava cautamente la sovrainterpretazione della storia. Era costantemente attento ai limiti della logica discorsiva: «È bene dare una conclusione smussata alle ricerche materialistiche» (PA 531). Similmente consigliava l'inclusione di "spazi bianchi' nella scrittura della storia a mo' di rappresentazione del non ancora saputo (nota in basso).
Anticipando la tarda modernità, Benjamin mette in pratica la nozione di storia come montaggio (la parola montage fu coniata solo nel 1929). La qualità eterarchica dei Passages - e non semplicemente la loro struttura slegata, dovuta all'incompletezza - è evidente nell'indeterminatezza epistemologica dell'incartamento N. Beneficiando dello studio delle fonti più varie - da Lotze a Bergson,
da Marx a Proust - Benjamin infonde nel pensiero materialistico dei criteri metafisici radicati nel suo studio teologico della lingua. Cercando e trovando una via di mezzo tra il soggetto e l'oggetto, e integrando letture letterarie e scientifiche, Beniamin stabilisce una forma di costruttivismo paragonabile_ semmai in campi disciplinari diversi - a quel costruttivismo che sarebbe stato formulato da Piaget.
Il suo pensiero condivide con la tradizione analitica - con Dewey, Whitehead e Wittgenstein - una consapevolezza dei limiti dell'espressione linguistica, un'epistemologia basata sui processi di mutazione, e una teoria del simbolo radicata nello studio delle percezioni. La sua fenomenologia della percezione anticipa quella di Merleau-Ponty, di sedici anni più giovane di lui. Precedendo l'avvento dei Cultural Studies in Gran Bretagna, Benjamin anticipa l'attivismo di quel movimento e il rilievo che esso dà alle diversità culturali. Infine riconosce il bisogno di rovesciare la storiografia lineare basata sul principio dell'energia a favore di una storiografia a mosaico basata sul principio della differenza.
nota:Si trova un riconoscimento simile nei Cantos dove Ezra Pound cita Confucio («Kung») sulla responsabilità dello storico - per il benessere della società - di lasciare lacune nel resoconto della storia. Si veda Ezra Pound, Selected Cantos (New York, New Directions, 1970), p. 22: And Kung said " Wan ruled with moderation, / In his day the State was well kept, / And even I can remember / A day when the historians left blanks in their writings, / I mean for things they didn't know, / But that time seems to be passing».
imparando a muovermi come nello Zibaldone di Leopardi, non in cerca di una sistematicità di pensiero e teorie ma spunti e aperture che riguardano il modo di leggere la Storia e paradossalmente, ma mica tanto per me, anche stimoli al discorso poetico. Soprattutto per quella prudenza estrema che Benjamin suggeriva nel lavoro di interpretazione dei fatti storici, per quella sua nozione di storia come montaggio, per la consapevolezza dei limiti dell'espressione linguistica (sulla quale mi sono soffermato nel post del 21 gennaio dal titolo La poesia e il linguaggio di tutti i giorni con l'aiuto di Brodskij
Da poco è uscita per Einaudi una biografia imponente di 700 pagine: Walter Benjamin, A critical life, di Howard Eiland e Michael W. Jemmings, se ne trova una recensione su Doppiozero a questo indirizzo http://www.doppiozero.com/materiali/recensioni/walter-benjamin-critical-life
C'è un saggio in particolare scritto da uno studioso americano che ha il merito di sintetizzare molto, cosa meritevole di attenzione, ne riporto qui la pagina conclusiva.
Thomas Peterson
La storia come montaggio in Benjamin
VI. Conclusione
Sono stati in molti ad etichettare Benjamin come autore contraddittorio o paradossale. Certamente il suo pensiero non sta tranquillo dentro i contorni di una singola disciplina o terminologia specialistica, come la fenomenologia o l'idealismo, il marxismo o lo storicismo. Benjamin non conia una sua dottrina. A dispetto del carattere prolifico della sua opera, si può dire che chiave del suo stile - rispecchiato nella calligrafia miniaturistica dei suoi manoscritti, stesi con estrema cura - è la reticenza e la modestia. Benjamin era consapevole di lavorare "sulle spalle di giganti" e evitava cautamente la sovrainterpretazione della storia. Era costantemente attento ai limiti della logica discorsiva: «È bene dare una conclusione smussata alle ricerche materialistiche» (PA 531). Similmente consigliava l'inclusione di "spazi bianchi' nella scrittura della storia a mo' di rappresentazione del non ancora saputo (nota in basso).
Anticipando la tarda modernità, Benjamin mette in pratica la nozione di storia come montaggio (la parola montage fu coniata solo nel 1929). La qualità eterarchica dei Passages - e non semplicemente la loro struttura slegata, dovuta all'incompletezza - è evidente nell'indeterminatezza epistemologica dell'incartamento N. Beneficiando dello studio delle fonti più varie - da Lotze a Bergson,
da Marx a Proust - Benjamin infonde nel pensiero materialistico dei criteri metafisici radicati nel suo studio teologico della lingua. Cercando e trovando una via di mezzo tra il soggetto e l'oggetto, e integrando letture letterarie e scientifiche, Beniamin stabilisce una forma di costruttivismo paragonabile_ semmai in campi disciplinari diversi - a quel costruttivismo che sarebbe stato formulato da Piaget.
Il suo pensiero condivide con la tradizione analitica - con Dewey, Whitehead e Wittgenstein - una consapevolezza dei limiti dell'espressione linguistica, un'epistemologia basata sui processi di mutazione, e una teoria del simbolo radicata nello studio delle percezioni. La sua fenomenologia della percezione anticipa quella di Merleau-Ponty, di sedici anni più giovane di lui. Precedendo l'avvento dei Cultural Studies in Gran Bretagna, Benjamin anticipa l'attivismo di quel movimento e il rilievo che esso dà alle diversità culturali. Infine riconosce il bisogno di rovesciare la storiografia lineare basata sul principio dell'energia a favore di una storiografia a mosaico basata sul principio della differenza.
nota:Si trova un riconoscimento simile nei Cantos dove Ezra Pound cita Confucio («Kung») sulla responsabilità dello storico - per il benessere della società - di lasciare lacune nel resoconto della storia. Si veda Ezra Pound, Selected Cantos (New York, New Directions, 1970), p. 22: And Kung said " Wan ruled with moderation, / In his day the State was well kept, / And even I can remember / A day when the historians left blanks in their writings, / I mean for things they didn't know, / But that time seems to be passing».
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