Dice così, che meglio non sarei mai stato in grado di dire:
'...nonostante la versatilità di questo strumento, nonostante la sua preziosa capacità di esplorare e approfondire le percezioni - per cui a volte esso rivela più di quanto fosse nelle intenzioni originarie e così arriva, nei casi più felici, a fondersi con le percezioni - ogni poeta più o meno esperto sa quante cose restino fuori o siano dolorosamente modificate passando attraverso questo strumento.'
Ora, ogni poeta crea per sé un proprio linguaggio, quello cioè che più compiutamente traduce quanto sta nella psiche, si tratta di un lavoro eccezionale che non ha quasi mai fine e che attraversa territori pieni di insidie. Credo che quella più drammatica stia nelle voci del mondo che in genere dissuadono da questa ricerca e anzi la indirizzano verso mete più semplici, quelle che generalmente confermano l'esistente (tra tv e frigorifero, direbbe Pasolini). Il poeta per lo più quelle insidie impara a evitarle, talvolta nel farlo il suo linguaggio diventa oscuro o comunque difficile. E' inevitabile, ma fino a un certo punto. E' inevitabile tanto più se lo scrittore di versi tenta di tradurre in parole una complessità interiore fin lì inespressa e se la connessione di immagini e pensieri è insolita e composta in una visione sorprendente. Credo che lo scrittore abbia il compito di tradurre la propria interiorità senza concedere nulla alle semplificazioni ma rinunciando, fino a un ulteriore momento più favorevole, a una complessità che non comunica. La ricerca del linguaggio più proprio non può insomma essere disgiunta da una comunicabilità del verso, cosa che del resto mi sembra orami acquisita tra gli scrittori più giovani. I quali verosimilmente hanno da temere l'insidia opposta, ossia quello di semplificare troppo e rinunciare alle connessioni più profonde.
Perché comunque, come bene dice B., tra quanto comunica la psiche e quanto lo scrittore riesce a tradurre in parole c'è uno scarto più o meno doloroso del quale lo scrittore stesso si deve far carico per via delle insufficienze del linguaggio, anche se resta lo strumento migliore, e per via dei condizionamenti e comandi culturali riduttivi cui è sottoposto il linguaggio quotidiano.
Così il poeta e critico conclude la sua riflessione:
"Viene fatto di pensare che la poesia sia in qualche modo estranea o refrattaria al linguaggio - italiano, inglese, o swahili che sia - e che la psiche umana, per la sua capacità di sintesi, sia infinitamente superiore a tutte le lingue che possiamo usare. A dir poco, se la psiche avesse una lingua sua propria, la distanza tra questa e il linguaggio della poesia sarebbe approssimativamente la stessa che divide il linguaggio della poesia, appunto, dall'italiano di tutti i giorni." (Sta in Il canto del Pendolo, Adelphi, 1987)
Così il poeta e critico conclude la sua riflessione:
"Viene fatto di pensare che la poesia sia in qualche modo estranea o refrattaria al linguaggio - italiano, inglese, o swahili che sia - e che la psiche umana, per la sua capacità di sintesi, sia infinitamente superiore a tutte le lingue che possiamo usare. A dir poco, se la psiche avesse una lingua sua propria, la distanza tra questa e il linguaggio della poesia sarebbe approssimativamente la stessa che divide il linguaggio della poesia, appunto, dall'italiano di tutti i giorni." (Sta in Il canto del Pendolo, Adelphi, 1987)
Mi scrive Betty Brunelli: C' e' nel poema della Rosselli ' La libellula' una bellissima definizione del linguaggio, in forma poetica : 'Fluisce fra me e te nel subacqueo un chiarore/ che deforma, un chiarore che deforma ogni passata/ esperienza e la distorce in un fraseggiare mobile, / distorto, inesperto, espertissimo linguaggio/ dell'adolescenza! Difficilissima lingua del povero! / rovente muro del solitario! ....'ecc. Il linguaggio e' per me a volte legato a moti psichici, una parole scelta può' condensare diverse direzioni , diversi cammini ed è' quella ed è' unica. Credo sia così per molti poeti, un abbraccio Betty Brunelli
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