domenica 25 marzo 2018

L'edizione speciale on line della rivista PRIMO MAGGIO in memoria di uno dei suoi fondatori PRIMO MORONI



Fra qualche giorno ricorre l'anniversario della morte di PRIMO MORONI, la pubblicazione in rete del numero speciale di PRIMO MAGGIO è un omaggio alla sua memoria. Cesare Bermani, Sergio Bologna, Bruno Cartosio così lo ricordano nell'introduzione:"Chi ha partecipato al ’68, all’autunno caldo ed ai movimenti sociali del decennio successivo ricorderà la rivista “PRIMO MAGGIO”. L’avevamo fondata nel 1973, sarebbe durata fino al 1988. Cercavamo un editore, ci portarono in piazza Sant’Eustorgio a Milano, dove c’era una piccola libreria, un bugigattolo, ma gestita da un grande uomo, Primo Moroni. È scomparso vent’anni fa, vittima della malattia del secolo. Per ricordarlo abbiamo ripescato quel titolo “Primo Maggio”, anche perché aveva un sottotitolo intrigante: “saggi e documenti per una storia di classe”.
Si può scaricare la rivista in PDF a questo link:

www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/Default.aspx

venerdì 23 marzo 2018

Il numero speciale di PRIMO MAGGIO è ora on line


Finalmente l'atteso numero speciale di Primo Maggio è in rete a questo indirizzo

http://www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/Default.aspx




 
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"Primo Maggio" — Numero speciale


I temi principali su cui si è sviluppata l'attività della Fondazione Luigi Micheletti e del MusIL sono presenti con contributi originali e di grande efficacia in questo numero speciale di "Primo Maggio", che viene pubblicato come n. 36 di "Altronovecento". Il lavoro di divulgazione e riflessione storica sono attivati partendo dall'attualità, con lo sguardo sul futuro.
Si rinnova su questo asse portante, non importa se oggi poco frequantato, il rapporto originario con alcuni dei principali autori e redattori della rivista milanese di storia militante, nel ricordo di due amici carissimi: Primo Moroni e Lapo Berti, di cui si offrono ritratti e materiali preziosi anche per chi non li avesse conosciuti.
In definitiva un numero davvero speciale e di cui siamo orgogliosi, nella certezza che chi avrà modo di consultarlo non mancherà di aiutarci a farlo circolare utilizzando nel modo migliore le potenzialità della rete.
Pier Paolo Poggio


Sommario
Omaggio a Primo Moroni, Cesare Bermani, Sergio Bologna, Bruno Cartosio
Gli informatici italiani: tra libera professione e caporalato, Intervista a Michele Pacifico
I segreti del Bitcoin, Intervista a Christian Marazzi
A casa di Pound, Intervista a Benedetta Tobagi
Luci e ombre dell'accordo IG Metall, Intervista a Nele Dittmar e Klaus Neundlinger
La Cina nella globalizzazione, Romeo Orlandi
"Donald Trump è fascista?", Bruno Cartosio
La logistica è la logica del capitale, Anna Curcio e Gigi Roggero
I porti, dannazione della merce, Andrea Bottalico
I portuali di Genova. 40 anni dopo, Riccardo Degl'Innocenti
Studio 2. La storia del lavoro e la musica dei Beatles, Ferdinando Fasce
Le voci di Aspirina la rivista, Intervista a Loretta Borrelli, Piera Bosotti e Pat Carra
Industria e lavoro al museo (MusIL) di Brescia, Pier Paolo Poggio
Il mestiere di Duccio, Sergio Bologna
Autonomia e soggettività: l'inchiesta ieri e oggi, Davide Gallo Lassere e Frédéric Monferrand
Operaisti in Europa anni '70, Intervista a Karl Heinz Roth
L'ottobre russo in Senato, Mario Tronti
Leggere l'ambiente da storici, Adolfo Mignemi
Da "Don Lisander" alla "Calusca". Autobiografia di Primo Moroni
Il cocktail 'Lenta Ginestra', Paolo Rabissi
In ricordo di Lapo Berti, Claudio Greppi, Andrea Pezzoli, Sergio Bologna e Riccardo Bellofiore
Gli approdi mancati dell'Italia industriale, Graziano Merotto e Giorgio Bigatti


lunedì 12 marzo 2018

AnnaMaria De Pietro nella lettura di G. Linguaglossa





Segnalo la lettura da parte di Giorgio Linguaglossa della poesia dell'amica e ottima poeta AnnaMaria De Pietro



Sulla poesia di Anna Maria De Pietro
Al link qui di seguito un intervento di Giorgio Linguaglossa sull'ultimo libro di Anna Maria De Pietro. https://lombradelleparole.wordpress.com/

domenica 4 marzo 2018

La calda Storia di ‘Veglia Europa’ la nuova raccolta di versi di Franco Romanò, “plumelia” edizioni, 2017



Ciò che anima in maniera decisiva questa nuova raccolta di Franco Romanò è la tensione etica, irrinunciabile per lui quanto l’esigenza di scriverne in versi. E’ una tensione che è già evidente nel titolo Veglia Europa su cui torno fra poco.

Questa tensione etica del poeta si manifesta sin dai primi versi del poemetto L’ultimo Alessandro, che apre il libro, c’è qui una sorta di dichiarazione di poetica anche se apparentemente il poeta sta parlando delle caratteristiche della lingua latina di Cesare nel suo De bello gallico:
La lingua limpida, il dettato
che non liscia la storia
anzitutto dunque linguaggio limpido, nessuna concessione ad artifici retorici, a metafore eleganti ma anche nessuna rinuncia a posare lo sguardo sul male della storia, questa è la cifra che a mio parere regge tutta la raccolta.

Ho detto nessun artificio retorico ma è vero fino a un certo punto, ce n’è uno in particolare che lega la raccolta ed è l’uso del presente storico, proprio alla latina come fa Giulio Cesare, ne viene come effetto che il lettore in certi momenti si ritrova immerso  nel proprio presente mentre di sicuro fin lì si trovava nel passato, valga come esempio proprio nella prima poesia a pag. 18 dove, parlando delle condizioni della plebe il poeta dice

molti essendo oppressi dai debiti o
dal peso delle tasse
o dalla prepotenza dei potenti,
si offrono schiavi ai nobili,
ipotecano le case, accendono
mutui per la scuola dei figli
cadono nella tresca usuraia
[…]                              …affollano
le strade fuggendo da guerre…



Ecco, la narrazione storica è improvvisamente diventata un richiamo del poeta al fatto che l’Europa dopo più di duemila anni è afflitta nonostante la sua lunga storia di civiltà dagli stessi mali legati alla violenza del potere, il lettore viene avvisato del passaggio dall’uso del corsivo, legato al passato, che si fa per il nostro presente normale.
Dunque sembra proprio così, linguaggio e tensione etica fanno tutt’uno nel verso chiaro ma secco che segue un proprio ritmo interiore, di misura breve o più lunga ma sempre a ridosso della sua  tensione empatica verso le sorti della vecchia Europa:

Torniamo allora per un attimo al titolo perché dobbiamo scoprire qualcosa in più.
A nessuno sfugge che si tratta di un titolo che offre molteplici soluzioni di senso, io ho finito a dire il vero col fare una torsione grammaticale di cui conto di dare ragione, di legittimarla.
C’è una parola antica ormai caduta in disuso, e comunque di uso solitamente poetico, un aggettivo sostantivato che è Veglio, lo usa Petrarca, lo usa Dante. Dice Dante appena messo piede nel Purgatorio
Vidi presso di me un veglio solo
degno di tanta reverenza in vista
che più non dee a padre alcun figliuolo 
(siamo nel Purgatorio, si tratta di Catone nemico di Silla e poi di Cesare, piuttosto che cadere sotto la tirannia di quest’ultimo si uccide).
Ora veglio vuol dire vecchio, deriva vetulus, da quel latino con cui Franco Romanò inizia la sua raccolta.
Mi piace allora interpretare, forse al di là delle intenzioni dell’autore, veglia Europa come vecchia Europa.
A legittimare la mia scelta del resto soccorre bellamente  l’emistichio Europa è vecchia dell’ultima poesia della raccolta.
L’Europa è vecchia ma si tratta di una vecchiaia degna di reverenza e amore come nel caso del Veglio che compare a Dante.
Se leggiamo infatti il resto della poesia l’immagine di Europa che ne viene fuori è quella di una signora attempata che racconta la sua storia così lunga e complessa ad una platea di uomini appesi alle pipe e alle labbra di lei per rivivere vecchie battaglie e fastosi trascorsi.
Ma non basta questo per il nostro ragionamento, occorre aggiungere la connotazione etica, infatti Europa è degna di amore ma
non può più celare sotto un manto di
facile oblio quel che lei sa
sorseggia distratta ed il rosso
è solo ricordo presagio
di sangue
Europa, ecco il dettato che non liscia la storia, non deve rimuovere quanto la sua storia grondi di sangue e violenza.

Questa nuova raccolta di versi di Franco Romanò è un invito amorevole ma senza lisciate ad attraversare picchi significativi della storia d’Europa, un invito attento al dettato severo della storia, quello che nelle vicende sciagurate dell’umanità cerca un senso non effimero o banale  e magari anche i segni di un riscatto ancora possibile.
La raccolta parte da Giulio Cesare, ultimo Alessandro, fino a coinvolgere il nostro recente presente con la caduta del muro di Berlino.
Un materiale incandescente in cui poesia e storia, memoria e storia s’intrecciano in quella che vorrei chiamare la calda storia.
Una storia calda appunto della tensione del poeta che interroga
le grandi passioni di uomini e donne, le relazioni d’amore nell’intreccio con il potere, e i sogni rivoluzionari.
Calda perché lo sguardo del poeta indaga oltre le ragioni della grande storia.
la storia deve mettere punti
e virgole, timbrare documenti
e testimoni, stampare i nomi
perché tutto infine si plachi
nei libri
il poeta in questo senso è più libero dello storico, perché è vero che la storia non è più solo quella dei vincitori ma fa ancora omissioni e non sa guardare negli angoli.
proprio negli angoli
bisogna guardare per vedere bene
dice nella poesia intitolata ‘Deportati’

Così il poeta coglie Cesare e Cleopatra in un viaggio sul Nilo che dura dieci settimane e le ore d’amore si alternano ai progetti di  spartizione dell’impero prossimo venturo.
Ci racconta la storia di Malinche, nobile azteca divenuta schiava e poi amante di Cortes e la storia di Guido Picelli, un rivoluzionario che parte dall’Italia e attraversa tutta l’Europa da Mosca alla Spagna inseguendo il suo sogno rivoluzionario.
A tratti lo sguardo del poeta si fa attonito nel constatare la miseria della storia: è il caso di ‘Conquistadores’, il secondo poemetto della raccolta: a cosa è servita tanta violenza e crudeltà , tanta astuzia del potere, ai conquistadores spagnoli sulle popolazioni indie visto che i vinti di un tempo sono ancora qui nel presente?
il messico è pieno di conchiglie e teschi
di spagna… ma dappertutto si guardi
si vedono indiani viventi:
dove sono i conquistadores?  
Forse l’animo più turbato e commosso di fronte alle violenze degli eventi storici il poeta lo svela quando deve farsi testimone della caduta del ‘sogno profano’ quello che partito dalla rivoluzione d’ottobre sembrava destinato ad aprire una nuova era in cui riscattare millenni di oppressioni e violenze di classe.
Qui il poeta si ripiega su se stesso perché la sconfitta ha finito dopo aver sfiorato la libertà col rendere di nuovo il poeta simile al goffo albatro incapace di volare oggi a causa di gabbie nuove più sofisticate e invisibili. Così nell’ultimo poemetto ‘1789-1989’ in un crescendo fortiniano:
Il poeta della storia è un albatro
di nuovo ai ceppi imprigionato.
Scrivere un diverso statuto
sulla dura pietra di una fabbrica
richiedeva tempo e qualcosa di più
della fratellanza, del pane insieme
compagni…
La poesia tuttavia va oltre.
In quest’ultimo poemetto il sogno profano fallito non basta a impedire al poeta di riprendere il suo cammino periclitante in un paesaggio desertificato, tra mille incertezze ma nella consapevolezza della possibilità di un altro diverso percorso:
ma il sarto di Ulm continua a tornare
nei sogni,nel balenio improvviso
e risveglio dal sonno totale,
a dire che sì, si può
imparare a volare.
E dunque possiamo concludere anche noi, quella tensione etica che abbiamo detto attraversare sin dall’inizio questi versi non è nient’altro che la tensione della poesia con le sue ragioni e i suoi sogni.