venerdì 17 aprile 2015

A proposito di E. Dickinson

Seguendo le suggestioni venute da un pezzo teatrale dedicato alla poeta E. Dickinson ne ho letto quasi tutta l'opera. 
Dickinson è e resta una poeta enigmatica e misteriosa, certo poco ottocentesca, qualcuno ne ha fatto addirittura un emblema del post-moderno. La natura complessa della sua scrittura è data dal suo rifiuto radicale di presentarsi come una 'persona' identificabile, procede per ellissi e omissioni di sé e la natura ha così grande parte solo in quanto habitat e territorio vicino ma non come fine. L'estrema radicalità di questa posizione è la stessa che la porta a sottrarsi al mondo delle relazioni per sondare solo dentro di sé l'effetto di essere semplicemente viva. E' quello che secondo me ognuno di noi potrebbe fare se a un certo punto del giorno non decidessimo di buttarcici dentro, cioè solo qualche secondo dopo esserci svegliati. Lei rinuncia al gioco - anche perché poteva permetterselo - e noi assistiamo allo spettacolo delle sue emozioni filtrate filtratissime e depurate da qualsiasi oscenità della cronaca. Un'operazione radicale che la potrebbe avvicinare al misticismo ma lei ne resta fuori. Un'operazione radicale che la potrebbe avvicinare all'intimismo ma lei ne resta fuori. Come dice una sua brava inteprete critica (B. Lanati) è come se lei invece di vivere restasse dietro le quinte o dietro uno spessore. Rinunciando a dare di sé un'immagine qualsiasi, in realtà parla continuamente di sé e noi continuiamo a chiederci chi è lei davvero. La cifra metalinguistica che diventa passo ironico e a volte beffardo è sempre elegante e tutto non fa che aumentare misteriosità ed enigma perché i tentativi nostri di interpretarla possono essere infiniti (e così è in effetti la montagna di letture critiche) e questo va tutto a credito di una idea di poesia che trascenda il visibile ma senza allontanarsene mai davvero. Occhi impigliati nelle nuvole, piedi per terra.
Verrebbe peraltro da chiedersi se la cifra stilistica adottata da Emily abbia, almeno in parte, favorito la scelta di isolarsi dal mondo, poco o tanto che sia nella realtà avvenuta, o se la scelta di isolamento abbia finito col riversarsi anche nella scrittura favorendo  omissioni ed ellissi del sé. Anche questo è enigmatico, per me forse l'enigma cruciale, perché se è vero che la scrittura è quai sempre un tentativo di colmare un vuoto, una inadeguatezza, una mancanza, è anche vero che queste inadeguatezze e mancanze non sono sempre psicologiche o esistenziali ma spesso dovute anche a carenze di natura organica se non a vere e proprie malattie che rendono inadeguate e mancanti.

lunedì 6 aprile 2015

Omaggio a Luigi Di Ruscio

NON POSSIAMO ABITUARCI A MORIRE

di ruscio 09
“Scriviamolo sui muri, la resistenza è ancora possibile, l’urgenza delle parole si frapponga fra noi e il resto. La sconfitta non è definitiva,  la speranza è tutta nella nostra capacità di ridere.”
L. Di Ruscio
La redazione di Perigeion è lieta di invitarvi a questo evento da noi molto sentito.
1o Aprile, Milano , Spazio tu di Mascherenere presso la Fabbrica del Vapore in via Procaccini,4
Ore 19,00; ingresso libero
FESTA-TRIBUTO-INCONTRO sull’opera di Luigi Di Ruscio.
A partire dall’opera del grande scrittore e poeta marchigiano, attraverso la proiezione di piccoli cortometraggi e frammenti video sulla sua figura e la lettura di suoi testi ad opera di poeti, scrittori e amici che l’hanno ammirato e conosciuto, questo incontro vuole essere insieme un momento di festa e di riflessione. In questi tempi dove l’uomo, la poesia e la bellezza vengono continuamente offesi, aspira ad essere un’alternativa il più possibile concreta alla volgarità e all’ignoranza che tentano di soffocare la nostra vita di uomini liberi.
DiRuscioLocandina (1)
Luigi Di Ruscio è nato nel 1930 a Fermo, nelle Marche, in una famiglia sottoproletaria di Vicolo Borgia. Da ragazzo ha sbarcato il lunario lavorando come manovale, operaio, fotografo di matrimoni. Nel 1956 è uscita da Schwarz la sua prima raccolta di versi, “Non possiamo abituarci a morire“, prefata dal giovane Franco Fortini, e l’anno successivo è emigrato a Oslo, in Norvegia, dove ha vissuto fino alla sua morte, avvenuta nel febbraio del 2011, lavorando in una fabbrica che produceva chiodi, la Christiana Spigervek. In Norvegia si è sposato con Mary Sandberg e ha messo al mondo quattro figli, continuando a scrivere e a pubblicare, soprattutto per piccole case editrici, sostenuto dalla stima di lettori come Salvatore Quasimodo, Italo Calvino, Antonio Porta, Giancarlo Majorino fino a quando, dopo la sua morte , Feltrinelli pubblica nella collana comete il meglio della sua produzione letteraria.
Le fotografie a Luigi Di Ruscio sono di Ennio Brilli.