domenica 30 novembre 2014

POESIA E STORIA IN BICOCCA
Rassegna in quattro incontri





                                    LIBRERIA BOOKSHOP FRANCO ANGELI 
VIALE DELL'INNOVAZIONE,11 DI FRONTE AL TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI                                       NELLA PIAZZETTA RIBASSATA

COME ARRIVARCI?  METRO LINEA ROSSA FERMATA PRECOTTO POI TRAM NUMERO 7 (DUE FERMATE), LINEA 3 FINO A STAZIONE CENTRALE E BUS 87, OPPURE STAZIONE FERROVIARIA GRECO PIRELLI CENTO METRI A PIEDI IN DIREZIONE DI VIALE INNOVAZIONE.

  1 DICEMBRE LUNEDI ORE 18,30

TERZO INCONTRO

EPICHE

UN LIBRO SULLE  SCRITTURE EPICHE AL FEMMINILE.

Presentano: Paolo Rabissi e Franco Romanò.


Discuterà del libro:

BIA SARASINI
curatrice dell'opera insieme a Paola Bono.

L’attrice Laura Vanacore
legge alcune parti dell'opera collettiva:

LA RABBIA.

Alla fine della serata rinfresco.
Ingresso gratuito.



mercoledì 19 novembre 2014

Il giovane favoloso, spunti e appunti al film di M. Martone su Giacomo Leopardi

1) Mario Martone ha amato e ama Leopardi, ce lo dice con passione in questo suo ultimo film. E anche Recanati e a maggior ragione Napoli e Torre del Greco sono rivisitati con garbo ed emozione. La scelta delle musiche (da Rossini alla musica elettronica) l’ho trovata molto godibile e convincente. A ciò bisogna aggiungere l’indiscutibile bravura degli attori, in particolare di Elio Germano nella parte del poeta. Un film destinato al successo credo, capace di affascinare.

2) Martone  tocca la maggior parte dei punti critici della biografia e del pensiero del poeta e, se qualcosa manca, per rispetto a un regista di valore e a questa sua opera che ha molti pregi, credo sia giusto chiedersi se le omissioni sono gravi o meno. Possiamo tentare di vederne qualcuna e ragionarci sopra.

     2.1) Monaldo scopre (il film non dice come ma è noto) il tentativo di fuga di Giacomo nel 19: è una scena a dire il vero molto cinematografica, con un effettaccio: Leopardi sale emozionato e di nascosto sulla carrozza e il cocchiere volta lentamente il suo viso verso il giovane svelando di essere Monaldo. Leopardi prima di partire aveva scritto una lettera al padre molto interessante per capire i suoi rapporti con la famiglia che non voleva spendere niente per dargli qualche opportunità di studio fuori da Recanati. E’una lettera che è un vero e proprio atto di accusa contro una famiglia avara e che, a finanze dissestate, badava comunque solo al proprio decoro mantenendo servitù, carrozze e palchi in teatro. Essa non aggiunge nulla alla disperata volontà di fuga di Leopardi ben descritta nel film ma conoscerla forse restituisce una concretezza più eloquente a quanto si finisce, come sempre accade con Leopardi, per addebitare solo alla sua inquietudine esistenziale. Il film non manca di mettere in rilievo la figura di una madre del tutto disinteressata alle sorti del poeta, al padre tuttavia a più riprese Leopardi si rivolge nel film con devozione e tenerezza. Che ci stanno tutte, solo che  il suo giudizio su di lui proprio in quella lettera si svela bel altrimenti accusatorio. Gli imputa drammaticamente di aver applicato rigide «norme geometriche» nel valutare l'ingegno di un figlio che mostrava di avere «alquanto più che un barlume d'ingegno» e di aver concluso che questo non  meritava alcun sacrificio dei piani familiari: l’accusa più bruciante infatti è di non aver nemmeno preso sul serio la richiesta («Fui accolto colle risa ...») di adoperare le conoscenze di famiglia per trovargli un impiego fuori Recanati.

    2.2) L’antiutilitarismo di Leopardi viene accennato nel film quando il poeta frequenta il gabinetto Viesseux a Firenze: qualcuno chiede a Leopardi notizia del carattere di quella sua iniziativa editoriale di un periodico letterario e lui risponde brevemente che carattere precipuo della rivista sarebbe stato il rifiuto programmatico di essere utile a qualcosa. Ha fatto bene Martone a mettere sulla bocca del poeta le parole che compaiono nel Preambolo, scritto di proprio pugno dal poeta e arrivato a noi. In esso, dopo aver giocato ironicamente sulla natura del giornale nel quale non si volevano "letterati" per redattori ma neanche scienziati, né statistici né economisti, Leopardi chiariva, prendendo garbatamente d'infilata tutta l'ideologia utilitaristica del secolo, della quale il gabinetto Viesseux era la punta di diamante italiana, lo scopo dell'impresa: «Noi non miriamo né all’ aumento dell'industria, né al miglioramento degli ordini sociali, né al perfezionamento dell'uomo [...]. Confessiamo schiettamente che il nostro Giornale non avrà nessuna utilità. E crediamo ragionevole che in un secolo in cui tutti i libri, tutti i pezzi di carta stampata, tutti i fogliolini di visita sono utili, venga fuori finalmente un Giornale che faccia professione d'essere inutile». E subito dopo aggiunge: «II nostro scopo dunque non è giovare al mondo, ma dilettare quei pochi che leggeranno. Lasciamo stare che lo scopo finale d'ogni cosa utile essendo il piacere, il quale poi all’ultimo si ottiene rarissime volte, la nostra privata opinione è che il dilettevole sia più utile che l'utile». Chi voleva dunque leggere per diletto e consolazione dalle calamità, era invitato a sottoscrivere all'impresa; con questa speranza: che a sottoscrivere fossero soprattutto le donne:«perché è verisimile che le donne, come meno severe, usino più degnazione alla nostra inutilità». Forse una citazione più estesa dal Preambolo avrebbe dato una sostanza diversa alla garbata ironia che Leopardi usa nel film e che fa dell’episodio una occasionale battuta. Ma soprattutto avrebbe piegato la lettura dell’insieme verso la considerazione che Leopardi, in mezzo agli economisti e sociologi e scienziati del Gabinetto, non è che ci stesse male e si sentisse fuor d’acqua a causa della sua infelicità e delle sue inquietudini personali ma per diversità di opinioni sul mondo e per la quasi nulla importanza che si dava alla poesia. Così dice al Giordani in quella nota lettera  con la quale Leopardi praticamente si congeda nel ’31 da Firenze: «[...] mi comincia a stomacare il superbo disprezzo che qui si professa di ogni bello e di ogni letteratura: massimamente  non mi entra poi nel cervello che la sommità del sapere umano stia nel saper la politica e la statistica». (G. L., Epistolario, a cura di F. Moroncini, Le Monnier, Firenze 1934, vol. V, lettera a P. Giordani n° 1293). 

   2.3) Nelle sequenze dedicate allo stesso Gabinetto veniamo a sapere di un certo concorso cui Leopardi ha partecipato. Siamo nel 1830 e l’Accademia della Crusca decide di assegnare i mille scudi di premio all’opera dello storico Carlo Botta. A onore dell’Accademia occorre aggiungere che le Operette morali che erano in concorso (erano uscite nel 1827, l’anno miracoloso per le lettere italiane perché è anche l’anno de I promessi sposi) sono considerate degne di una menzione al terzo posto, al secondo c’è una Sacra Scrittura illustrata, di un certo Lanci. Appunto. Voglio dire che non c’è da stupirsi se le Operette morali non vincono niente: sono pregne di ateismo. Nel Gabinetto invece si mormora qualcosa solo su quel pessimismo così insistente del poeta. Certo che c’era il pessimismo - nella fattispecie la critica ha anche suggerito che almeno in parte lo si poteva  anche considerare come una reazione all’eccesso di ottimismo dei toscani - ma i frequentatori del Gabinetto sono appunto i famosi moderati toscani perlopiù cattolici e, ripeto, sono il nerbo della nuova classe dirigente del Risorgimento, pragmatici antelitteram, utilitaristi, auspicanti mercati liberi ma sostenuti da riforme statali. In nuce il capitalismo nostrano. Nel quale la parola d’ordine è il progresso e la felicità futura delle masse. Mettere in bocca al garbato Leopardi ironico di Martone qualche allusione in più a tutto ciò forse avrebbe aggiunto qualcosa di interessante e più concretamente materiale alle inquietudini esistenziali del poeta. Ma soprattutto avrebbe dato un po’ più di luce e significato alla critica antiprogressista leopardiana. Di essa nel film si ha un breve cenno, anche qui in pratica una battuta isolata, quando viene recitata una parte di La ginestra: si sente risuonare il verso contro le ‘magnifiche sorti e progressive’ ma in un contesto che ovatta e ammorbidisce la sua valenza culturale e politica.

   2.4) In una lettera famosa, che si legge in tutti i manuali di storia della letteratura per i licei, Leopardi invita i suoi detrattori a giudicare i suoi ragionamenti per quello che sono e non facendo riferimento alle sue sofferenze fisiche. Anche nel film il poeta pronuncia questa frase e Martone ha fatto bene a fargliela pronunciare estrapolandola dalla lettera. In effetti il succo è: smettetela di dire che l’infelicità cui dico essere condannata la specie umana dipenda dal fatto che sono gobbo, semicieco e quant’altro. Si tratta di una delle affermazioni topiche per capire il livello di autocoscienza di Leopardi sulla propria opera nonché sul senso della sua filosofia. Nel film il contesto nel quale un pensiero così importante viene espresso è davvero infelice, capisco voler perseguire la leggerezza, ma mettere Leopardi in una gelateria, seduto a un tavolino sul quale troneggia un gelato, cosa di cui era notoriamente goloso, e avendo come interlocutori due sconosciuti, riduce quel pensiero e la sua complessità alla battuta  di un goloso compulsivo. 

3) Il film si divide in due parti. Tra l’una e l’altra c’è uno stacco temporale di circa dieci anni. Lasciato Leopardi a Recanati dopo il suo infelice tentativo di fuga lo ritroviamo a Firenze nel 1830, già in contatto con Ranieri, innamorato di Fanny Targioni Tozzetti, frequentatore del Gabinetto Viesseux. E’ sempre più gobbo e cieco ma nell’insieme il suo aspetto è molto gradevole, ha un’aria quasi da gaudente, adopera l’ironia con grande freschezza e garbo e non si risparmia del vivere quanto è alla sua portata.
Importa, per una ricezione non superficiale da parte del pubblico, raccontare cosa è successo di Leopardi in questi dieci anni? Sembrerebbe di no. Leopardi a un certo punto della sua storia sarà pur diventato adulto. E nel film lo è diventato. L’impressione è che nonostante i dieci anni trascorsi egli sia rimasto nella sostanza quello di prima, un giovane favoloso. Ma nella realtà non è proprio così. Leopardi anzi è profondamente cambiato. Soprattutto perché le sue convinzioni, che avevano all’inizio un’origine letteraria e intuitiva e poco basata su dati di esperienza, ora si sono consolidate, articolate e approfondite proprio grazie a un’esperienza di vita concreta vissuta e fondamentale. Tra il 1825 e il 1828 (anno quest’ultimo della composizione dei grandi idilli, quasi il meglio della sua  produzione poetica, che nel film vengono purtroppo sacrificati) Leopardi ha vissuto, in un rapporto di lavoro precarissimo e tuttavia quasi continuativo, una condizione per il tempo rara e privilegiata, ottenuta e conservata grazie alle sue competenze letterarie: egli infatti per la casa editrice di Antonio Fortunato Stella svolge da salariato funzioni di consulente editoriale, di direttore di collana e di compilatore lui stesso di note, commenti, prefazioni nonché di antologie. Come è largamente noto. Ricavandone quanto gli bastava per mantenersi. Il lavoro dunque, come mezzo di essere provveduto e libero e come mezzo per dedicarsi ai suoi studi, con tanto di scandalo da parte del padre che guarda al disdoro che ne proviene per tutto il suo casato nobiliare e che dunque gli scrive di mollare tutto e tornare a Recanati dove aveva ‘tutto quello di cui bisognava’. Ovviamente tranne la libertà e la disponibilità di libri che nello stato della Chiesa era impossibile a causa della censura. Dopo qualche mese della sua permanenza a Bologna, dove ha preso casa e da dove gestisce la relazione con Stella, scrive al  fratello Carlo di vivere «onoratamente e con piena indipendenza personale, e regolandomi nelle spese, passo anche per ricco [...]. Se avessi voglia e salute da faticar di più in cose letterarie potrei anche avere dell'avanzo, perché non mi mancherebbero imprese e inviti librarii qui e in Torino e altrove» ( G. L., Epistolario, op. cit., vol. IV, lettera a Carlo Leopardi del 24. 2. ’26). Ma dopo un anno e mezzo le cose sono di nuovo cambiate. La sopravvivenza è assicurata ma gli costa un’attività intensissima che copre tutto il giorno e gli consuma un fisico provatissimo e soprattutto la vista. In realtà tempo per dedicarsi ai suoi studi e alla poesia gliene restava poco. Il trasferimento a Firenze, dove sapeva essere in vita un’attività culturale e politica intensa e dove il Vieusseux stesso l’aveva più volte chiamato a collaborare, fu dovuto proprio alla curiosità di verificare se lì una sua collaborazione poteva essere più conveniente. La delusione sarà quasi immediata. Per quanto la vita culturale del Gabinetto fosse ricca e intelligente il giudizio suo come abbiamo visto è diverso. Un giudizio che del resto era già maturato nel ’24 quando su insistenza del Viesseux si era adattato a scrivere una delle pagine di sociologia più interessanti del primo Ottocento. Lì, nel ‘Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani’ il poeta discute della mancanza in Italia di industrie e di cultura. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe dal pessimista che conosciamo sostiene che là dove, e pensa in particolare alla Francia e all’Inghilterra, l’industria conosce un certo sviluppo, si sviluppano cultura e ‘pubbliche opinioni’ (ovvero partiti politici). E aggiunge: è vero che competitività crudeli e persecuzione degli uni sugli altri sono la sostanza di queste società, ma quello sviluppo medesimo di esse, conclude, mostra anche di saper rimediare ai propri errori. 

4) Per concludere. Della complessità biografica di Leopardi e del suo pensiero, intrecciati indissolubilmente, nel film finisce per esserci solo una eco. Alla fine del film il giovane favoloso sembra essere rimasto il giovane irrequieto e ribelle della prima parte. E a questo proposito è inevitabile aggiungere che il film sembra essere la trasposizione cinematografica di una lettura critica molto simile a quella crociana. Quella cioè che relega a elucubrazione fastidiosa la riflessione antropologica sulla specie umana dalla quale Leopardi trae motivo di sconforto per le sorti sue e dell’intera umanità, una lettura alla quale non è stata estranea una parte della cultura marxista. Lo sforzo di Martone è da apprezzare, prima o poi un regista doveva pur provarci, ma c’era molta più carne da mettere sul fuoco ed era possibile perché nell’impostazione scelta potevano stare dentro molte altre informazioni che fanno parte ormai da tempo del patrimonio critico e che avrebbero contribuito a restituire di Leopardi almeno una parte della sua complessità.  A Martone resta il merito di avere aperto la strada. E di questi tempi non è poco. Tuttavia l’occasione per smetterla di parlare di un Leopardi dimezzato e chiuso nella sua malinconica inquietudine esistenziale mi sembra che sia andata persa.




lunedì 10 novembre 2014

Secondo incontro per la rassegna di Poesia e Storia

             POESIA E STORIA 
Rassegna in quattro incontri
in Bicocca
secondo incontro

LIBRERIA BOOKSHOP FRANCO ANGELI VIALE DELL'INNOVAZIONE,11 DI FRONTE AL TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI NELLA PIAZZETTA RIBASSATA!COME ARRIVARCI? PASSANTE FERROVIARIO FERMATA BICOCCA, METRO LINEA ROSSA FERMATA PRECOTTO POI TRAM NUMERO 7 (DUE FERMATE), LINEA 3 FINO A STAZIONE CENTRALE E BUS 87, OPPURE STAZIONE FERROVIARIA GRECO PIRELLI CENTO METRI A PIEDI IN DIREZIONE DI VIALE INNOVAZIONE.

17 NOVEMBRE LUNEDI ORE 18,30
secondo incontro

POESIA E LAVORO

PRESENTA FRANCO ROMANO’

Leggono le proprie opere
Paolo Rabissi e Edoardo Zuccato

L’attrice Laura Vanacore legge LES MURRAY
brani tratti da Freddy Nettuno e Poesie scelte.

Alla fine della serata rinfresco.
Ingresso gratuito.

lunedì 27 ottobre 2014

Memorie di un pessimista pentito

22 0ttobre 2014
“Non foss’altro che l’aver costretto l’azienda a non farci lavorare più con le mani alzate alla catena di montaggio, ad aver costretto la direzione a ridurre al minimo la parte variabile del salario costringendoci ad aumentare il ritmo di lavoro per qualche soldo in più, basterebbe questo per dirti che io sconfitto non mi sento affatto. Lo so che ora hanno recuperato tutto, è vero ma allora la guerra era in corso, ora la guerra è finita e l’hanno vinta loro”.
Adelio, operaio pensionato, ha ragione su tutto. Per miei interessi di studioso di storia del movimento operaio e di intellettuale conosco come sono andate le cose, e del resto lo penso anche come insegnante. Ex.
Non foss’altro che l’aver informato i miei allievi di scuola media superiore per trentasette anni che le mie lezioni di Storia e di letteratura italiana non pretendevano di essere la verità ma solo una verità (anche se condivisa, prove alla mano, da molti), basterebbe questo per dire che non mi sento affatto uno sconfitto. Sconfitta è stata quella scuola che mascherava ideologie dietro la pretesa dell’oggettività, del giudizio super partes, del bello e del sublime eterni e immutabili. Ai miei allievi ho cercato di insegnare a sospettare ed esercitare il dubbio critico sempre con chiunque si presenti con le verità in tasca. Certo è che allora il conflitto era in corso. La verità del crocifisso appeso dietro la scrivania sembra che nelle scuole sia tornata. Allora non si poteva perché la religione cattolica non era religione di stato. La verità 'naturale' unica del progresso dentro il capitalismo neoliberale è un'altra volta sulle creste dell'onda. Allora non poteva perché il  movimento operaio accanto a quello degli intellettuali, degli studenti, delle donne stimolava la riflessione sulle alternative di vita.

23 ot.
Non bastano 37 anni di lavoro a tempo indeterminato nella scuola italiana per cacciare dalla testa lo smarrimento che provavo da giovane quando mancavo di un posto di lavoro non precario. Ancora oggi da pensionato ogni tanto mi chiedo smarrito se non troveranno il modo di togliermi la pensione e rendermi precari gli ultimi anni di vita. In realtà molto verosimilmente non ce la faranno.
Del resto la mia precarietà era dovuta allo smarrimento giovanile di non sapere cosa fare di me. Ottenuto un diploma liceale più per caso che per merito, dopo un anno di lavoro come impiegato, in piena crisi esistenziale, mi chiesi se non era il caso di darmi a qualche attività manuale. Fare l’operaio era attraente in quegli anni, più di quanto oggi si possa pensare. Certo l’attrazione verso la fabbrica era soprattutto nei giovani proletari, che frequentavo più di quanto non frequentassi la classe borghese medio alta di formazione liberale o fascista cui appartenevano i miei compagni di liceo. Ma un po’ che la mia vita scolastica era stata un disastro (credo di essere stato uno degli  allievi più bocciati d’Italia degli anni cinquanta, e non dico a caso Italia visto che le bocciature le ho collezionate tra le numerose città  in cui avevo frequentato disordinatamente le varie scuole) un po’ che la vita d’impiegato a 54 mila lire al mese, che non erano nemmeno pochissime per allora, mi sembrò un suicidio, la scelta di una dissacrante attività manuale in qualche fabbrica in fondo poteva ben essere la soluzione di vita che mi mancava. Non è andata così. Dopo un anno di lavoro manuale e servile a Colonia mi sono rimesso a studiare e mi sono anche laureato (con un voto non disprezzabile e con un gratificante riscatto morale verso la cultura). E a dirla tutta ho fatto l’insegnante con grande entusiasmo e sono convinto di essere anche  stato un buon insegnante. Ma questo non c’entra. Per ora.
Il problema nasce una sera nella quale, nella mia terza vita, quella di scrittore riconosciuto di versi e di righe, una delle poete sedute a una tavolata di poeti e poete appunto, animata da una sua ubris personale contro di me ( i fatti in seguito avrebbero dimostrato che era mossa da invidia e gelosia) metteva a confronto la sua generazione e la mia sostenendo che la sua doveva reggere sulle spalle le manchevolezze della mia generazione.
“Andiamo, renditi conto che sei un testimone di una generazione di sconfitti…”
Le risposi che si sbagliava, che era sbagliato quello che diceva e che io non mi sentivo, insieme a tanti altri e altre, affatto sconfitto.
“Ma non è vero. La mia generazione ha vinto più di quanto tu sappia o non voglia sapere. Tu invece probabilmente sei una testimone del rifiuto della tua generazione di misurarsi col passato e temo che questo atteggiamento finirà col causare nei vostri figli la perdita totale della memoria storica e dunque quella delle nostre conquiste. Hai presente quando Wim Wenders fa dire al protagonista di ‘Nel corso del tempo’ a proposito degli americani, che costoro hanno finito con colonizzarci l’inconscio? Non so se lo diceva riferito a tutti noi europei o solo ai tedeschi, quello che mi sembra certo è che intravedo oggi più che mai per i nostri giovani la totale dismissione dalla Storia e la voglia insuperabile, perché inscritta interiormente, di vivere in un eterno presente.’

Non ho esagerato, se mai sono stato molto garbato come sempre, avrei potuto essere più cattivo . Avrei anche potuto dirle en passant cosa pensavo dei suoi versi, perché versi ne scriveva anche lei e forse ne scrive ancora, versi che non riescono a togliersi di dosso quel tanto di burocratico che promana dal suo parlare e financo dalle sue posture di donna desiderante, incline a mostrarti in segno di emancipazione sessuale le sue poderose cosce corte.

Rassegna di Poesia e Storia Primo incontro 3 Novembre 2014 ore 18,30







LIBRERIA BOOKSHOP FRANCO ANGELI VIALE DELL'INNOVAZIONE,11 DI FRONTE AL TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI NELLA PIAZZETTA RIBASSATA !


3 NOVEMBRE LUNEDI ORE 18,30
primo incontro

NOVECENTO

PRESENTANO: PAOLO RABISSI E FRANCO ROMANO’

Leggono le proprie opere
Nino Jacovella e Alessandra Paganardi

L’attrice Laura Vanacore legge ADONIS
brani tratti da Nella pietra e nel vento

venerdì 11 aprile 2014

Ben fatto, professore

Ci vuole l'allegria del naufrago per continuare a cercare se non la verità quanto meno ciò che le si avvicina, in mezzo a tanti ostacoli. L'intellettuale, quello serio non il chiacchierone che non manca mai in nessuna categoria, conserva quello spirito per non venire meno al proprio statuto, sia quando intorno c'è il deserto sia quando intorno la ressa rischia di sommergerlo. La riserva di allegria della ricerca lo salva. In questo caso, dato che perlopiù l'intellettuale, il professore, scrive, te ne accorgi dal tono che prevale nella sua scrittura. Un tono disincantato che avverte che non c'è troppo da illudersi ma anche un tono fermo di chi non recede dal suo impegno. Spesso è una scrittura che ha il dono di dire con leggerezza cose alte, quelle che appunto sono prossime alla verità. Howard Zinn, del quale sto rileggendo A people's History of the United States, la cui prima edizione è del 1980, ha questo dono. Chi ha conservato dai banchi di scuola e dalle pagine dei manuali di Storia l'idea romantica di un destino nobile e universale della civiltà occidentale (e del capitalismo) se ne distacca ben presto leggendo le prime pagine. Non si tratta di polemizzare con le magnifiche sorti e progressive della civiltà occidentale sostenute dai benpensanti, si tratta di prendere atto, prove alla mano, che le cose vanno a questo mondo in maniera diversa da come spesso ci viene raccontata. Da come spesso ci è più semplice credere: perché la verità, piccola o grande che sia, è sempre difficile da cercare, richiede la lentezza della  pazienza, coraggio e perseveranza, tutte doti che bisogna avere appunto l'allegria del naufrago per praticarle  e non la frettolosa convinzione di essere dentro la verità. Quando Colombo e i suoi marinai raggiunsero la riva di quell'isola delle Bahamas nel Mar dei Caraibi uomini e donne arawak, nudi abbronzati e colmi di meraviglia, li accolsero portando acqua, cibo, doni. Scrive Colombo nel suo diario di bordo che erano tutti bellissimi e gradevoli nella fisionomia. Non conoscevano armi, né ferro. E aggiunge subito dopo a commento, rivolto alle loro altezze reali Ferdinando e Isabella di Spagna: "Le Altezze Vostre con una cinquantina di uomini li terranno tutti sottomessi e potranno far fare loro tutto ciò che vorranno". Sei insomma costretto a riflettere subito sul background culturale di Colombo, neo-ulisse cattolico osservante, uomo dello splendido Rinascimento. Per portarsi avanti intanto Colombo ne mette ai ferri un certo numero per far loro confessare da dove proveniva l'oro dei loro orecchini. Se  questo comportamento va addebitato a mentalità generale, Colombo poi ci mette anche del suo. Aveva promesso una pensione vitalizia a chi avesse avvistato la terra per primo. Alle primissime luci dell'alba del 12 ottobre del 1492 un marinaio di nome Rodrigo vide la luna brillare sulla sabbia bianca dell'isola e gridò. La pensione non l'ebbe mai. Se la prese Colombo che affermò di aver visto una luce la sera prima. Verrebbe da dire che era arrivata appunto la civiltà occidentale. Ma non sarebbe nello spirito giusto. Confermare come siamo fatti è sempre un po' dolente e l'intellettuale, lo studioso, il professore, questo lo sa. Ma per quanto amaro sia è giusto raccontare il vero o quello che gli è prossimo. Howard Zinn, storico statunitense, morto qualche anno fa, ha raccontato una storia diversa, avvicinandola alla verità, ha raccontato la storia non dei vincitori ma dei poveri, dei nativi americani, degli schiavi di colore e delle donne. Un intellettuale scomodo. Come tant*. Terribile in questi giorni sentire liquidare posizioni politiche opposte con il termine di intellettuale o professore declinato in una nota accezione svilente. "I professoroni, gl'intellettuali di turno". Antica formula retorica quella di sminuire il valore di posizioni politiche contrarie. Niente di che dunque, non fosse che in questo caso c'è un surplus odioso.
Quando in certi momenti del Novecento l'intellettuale è diventato categoria nociva, nemica e antipattriottica suonavano le trombe imperial fasciste, naziste e staliniste. Se risuonano oggi, con buona pace dei nostalgici, non è certo perché sia all'ordine del giorno una riedizione di tutto ciò, ma il fatto che risuonino sia tra chi si definisce di destra sia tra chi si definisce di sinistra è quanto meno segno che tutti costoro hanno perso il contatto con quanto di meglio ci hanno lasciato i movimenti degli anni sessanta. Quei movimenti sono stati profondamente antiautoritari. E hanno segnato un solco di civiltà, una barriera invisibile ma tuttora vitale che è patrimonio non solo dei settantenni come chi scrive.  L'antiautoritarismo è tuttora per molti della mia generazione - di cui certamente molti intellettuali e professori -  ma non solo (perché ho il piacere di constatare di avere trasmesso a molti dei miei allievi il suo senso) una sorta di zoccolo duro, una struttura mentale che ha come costante l'esercizio dello spirito critico e che non rinuncia a essere scomodamente accampata in una visione del mondo che ha appena cominciato a enunciare i suoi assiomi. Non è solo la costanza dell'analisi critica delle forme attuali dello sviluppo capitalistico, delle sue contraddizioni e delle modalità con cui si camuffa da democrazia, è anche la messa a tema dei lasciti, dentro tutte le nostre  relazioni, del patriarcato e delle sue leggi millenarie che il femminismo contribuisce a svelare. Declinare questi due insiemi è possibile solo dentro una visione del  mondo antiautoritaria quale il secondo Novecento ci ha lasciato. C'è molto lavoro insomma, con l'allegria dei naufraghi, per i professori e gli intellettuali, come Howard Zinn.







martedì 4 marzo 2014

Il revisionismo che la poesia non può tacere

Città di Sesto San Giovanni, Medaglia d’Oro al Valore Militare.

GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA.

Sesto San Giovanni festeggia l’arte poetica in occasione della Giornata Mondiale della Poesia proclamata dall’Unesco.

Sabato 22 marzo 2014, ore 15.30,Villa Visconti d’Aragona, via Dante 6.


Il comunicato che ho riportato qui sopra è dolorosamente emblematico dei nostri tempi. Nulla può giustificare il mascheramento o l'omissione del fatto che Sesto San Giovanni è notoriamente medaglia d'oro della Resistenza. Citare solo l'espressione Valore militare è grottesco, il significato è tutt'altro e non occorre aggiungere alcunché.
Mi aspetto da parte degli invitati una presa di posizione chiara. Scorrendo la lista dei partecipanti stilata dall'associazione Milanocosa trovo molti nomi di poeti e poete che immagino consenzienti alla definizione in questione, conosco infatti il loro schieramento culturale e politico. Sorprendono invece i nomi di molt* che appartengono a un'area altrettanto schierata che notoriamente fa capo alla cultura della memoria della Resistenza.
Scivolamenti evitabili. La cultura politica revisionista per la quale siamo tutti nella stessa barca e dobbiamo volerci bene è francamente stucchevole. La poesia non è un contenitore neutrale di belle anime al di sopra delle parti, delle parti essa vive e si alimenta perché è sempre schierata con la verità. Dice il dolore e la gioia senza infingimenti e trascura gli opportunismi delle cronache, costi quel che costi.
La parola Resistenza è di dolore e gioia e dice la verità. Valore militare non dice la verità.

sabato 1 febbraio 2014

Sulle forme dell'epica nuova.



Incontro con Anna Santoro, poeta, scrittrice, in occasione della presentazione del suo ultimo romanzo: La nave delle cicale operose.
Perdonerà l'autrice se qui non parlerò del suo libro, peraltro commentato e presentato recentemente
allo spazio scopricoop di via Arona da Franco Romanò. Commenterò qui invece la risposta che lei ha dato alla domanda di uno dei presenti all'incontro che suonava pressapoco così:
- Ha senso assegnare alla sua attuale scrittura una consapevole tonalità epica?
Alla domanda, proveniente dal pubblico, la scrittrice ha risposto con una chiara presa di distanza.
- Nessuna volontà di epicizzare la mia narrazione, ha concluso, la parola 'epica' è una parola troppo invasiva, pericolosa, fa persino paura e soggezione.

Le cose credo che stiano proprio così. Nell'immaginario comune la poesia e la scrittura epica sono legate ad avventure mirabolanti, conquiste di vette spirituali o materiali tra eroi ed eroine, guerrieri e guerriere, miti e rituali e magari magie, mostri e conquiste di altri mondi.
A dirla tutta sembrerebbe che dell'epica siano in grado di dare una versione moderna solo i fumetti, il cinema, la televisione e i giochi elettronici: che non è poco! C'è un' intera galassia epica conquistata dai media e dal commercio.
La parola è compromessa, come tante. Ma a noi qui interessa in particolare il versante della poesia.
Depurata dalle incrostazioni ideologiche e mercantili è possibile oggi parlare di una poesia epica senza scomodare da una parte Iliade e Odissea, o Ariosto e Tasso, e dall'altra Walt Disney?

C'è spazio, c'è traccia nella modernità di una poesia epico-lirica che senza rinunciare alla nostra amatissima poesia lirica abbia anche un legame stretto con la Storia del nostro recente passato e con le convulsioni del nostro presente, caotiche ma anche ricche di patrimoni?
A mio parere le esperienze di questo tipo abbondano e personalmente le inserisco in un filone che chiamiamo di epica nuova.
Ma è così necessario dare una cornice? No ovviamente, nominare le cose per quello che sono invece aiuta tutti.
E in ogni caso la nominazione dentro un filone di moderna epica e nuova garantisce per sé buona poesia? Proprio per niente.
Può forse servire a misurarne il valore in qualche modo?
E in ogni caso se nominare significa circoscrivere, un'epica nuova dentro quali caratteri e confini va circoscritta?

E' quanto si vorrebbe capire. Ma intanto viene da dire: quando la poesia si fa stando dentro la Storia e le sue contraddizioni e affronta temi che nella poesia lirica non possono o non devono entrare ha senso tentare di dare una definizione al tipo di poesia di fronte alla quale ci troviamo?
E se 'epica' è troppo, ce un'altra definizione?

Ma forse il problema è un altro ancora: forse viviamo in un momento di transizione da un'epica tradizionale che non ci appartiene più a un'altra forma di essa.

martedì 21 gennaio 2014

Di epica nuova


Dopo il lavoro di quasi un anno con Franco Romanò, il nuovo blog di poesia è pronto, ne do notizia anche qui con la lettera che stiamo spedendo a amici, amiche, lettori, lettrici...


Cari amici e care amiche,

abbiamo fondato un blog di poesia dal titolo DIEPICANUOVA. Lo trovate all'indirizzo www.diepicanuova.blogspot.it. Le ragioni di questa piccola impresa editoriale scaturiscono da tante riflessioni, confronti e dibattiti, ma sono ben riassunte da quanto scriviamo nell'editoriale, di cui riproduciamo qui una breve citazione:

“... un modo d'intendere la poesia oggi e anche col rimettere in circolo una parola che in Italia è diventata da tempo un tabù impronunciabile: epica, termine contenuto nel nome del sito, cui, tuttavia, l'aggettivo ‘nuova’ conferisce una qualificazione imprescindibile. Non intendiamo, infatti, coltivare la nostalgia di una tradizione e neppure semplicemente riferirci al sentimento epico che accompagna la storia umana fin dalle sue origini, ma cercare di definire i caratteri che oggi una scrittura poetica epica necessita di possedere.”

Poche altre parole per presentarlo dal momento che si rischierebbe di ripetere quanto troverete nel blog, soltanto i titoli delle rubriche che troverete dopo l'editoriale. TESTI MANIFESTI A è la prima. In essa troverete testi e autori classici a cavallo fra '8 e '900, oppure novecenteschi che consideriamo emblematici per il percorso che vogliamo compiere.  MULTIVERSO è la rubrica dove cercheremo di delineare le caratteristiche di   un'epica nuova. La rubrica CORALIA  si occupa del contesto in cui la nostra proposta si cala. Nella sezione CONTEMPORANEA pubblicheremo testi poetici di autori e autrici contemporanei, compresi i nostri, che pensiamo siano in sintonia con le premesse da cui siamo partiti. Infine RIFLESSIONI A MARGINE E COMMENTI una rubrica nella quale ospiteremo gli interventi critici, i saggi, i semplici commenti che lettori e autori vorranno inviarci.
Buona lettura.

Paolo Rabissi e Franco Romanò